L’attivista russo Il’dar Dadin, detenuto ora nella colonia penale IK-7 a Segeža, a nord di San Pietroburgo, ha scritto una lettera alla moglie Anastasija Zotova, in cui denuncia le torture subite da lui e da altri detenuti.
Dadin è l’unico cittadino russo condannato in virtù dell’articolo 212.1, aggiunto solo nel 2014 al Codice Penale russo, per i ripetuti sit-in di protesta organizzati senza permesso. Questo articolo sancisce il reato di “ripetuta violazione delle regole in materia di svolgimento di manifestazioni pubbliche”, le quali sono diventate via via più restrittive dopo gli eventi di piazza Bolotnaja nel 2012. L’attivista russo si era reso colpevole di partecipazione a manifestazioni pacifiche, ma non autorizzate, e nel dicembre del 2105 è stato condannato a due anni e mezzo di reclusione.
La lettera è stata scritta il 31 ottobre 2016 dall’avvocato di Dadin, Aleksej Lipcer, che ha trascritto le sue parole.
Qui in seguito riportiamo una traduzione della lettera, la cui versione originale è stata pubblicata da Meduza.
“Nastja! Se deciderai di pubblicare informazioni su quel che mi sta succedendo, cerca di diffonderle il più possibile. Questo aumenterà le mie possibilità di rimanere vivo. Sappi che nella colonia IK-7 c’è un’intera mafia, alla quale appartiene tutta l’amministrazione: il capo della colonia – il capo dei servizi interni Sergej Leonidovič Kossiev e l’assoluta maggioranza dei dipendenti della colonia, inclusi i medici.
A partire dal mio arrivo nella colonia, il 10 settembre 2016, mi hanno subito portato via praticamente tutto e ci hanno messo due lamette, che poi hanno “trovato” durante l’ispezione. Questa è una pratica generale – usata per mandare i nuovi arrivati nel reparto di isolamento punitivo, affinché capiscano subito in che inferno sono capitati.
Nel reparto di isolamento mi ci hanno mandato senza alcuna delibera, ma mi hanno tolto tutto, incluso il sapone, lo spazzolino da denti, il dentifricio, addirittura la carta igienica. In risposta a queste azioni illegali ho intrapreso uno sciopero della fame.
L’11 settembre 2016 è venuto da me il capo della colonia Kossiev con tre collaboratori. Hanno iniziato a picchiarmi tutti insieme. Quel giorno mi hanno picchiato in tutto quattro volte, 10-12 uomini alla volta, mi prendevano a calci. Dopo la terza serie di percosse mi hanno infilato la testa nel gabinetto, direttamente nella cella del reparto di isolamento.
Il 12 settembre 2016 sono venuti alcuni collaboratori, mi hanno legato le mani dietro la schiena e mi hanno appeso per le manette. Questa posizione causa un dolore terribile ai polsi, inoltre si girano i gomiti e senti un dolore assurdo alla schiena. Sono stato appeso così per mezz’ora. Dopodiché mi hanno tolto le mutande e hanno detto che avrebbero portato un altro detenuto e che lui mi avrebbe violentato, se non avessi interrotto lo sciopero della fame. Dopodiché mi hanno portato nell’ufficio di Kossiev, il quale, alla presenza di altri collaboratori, ha detto: “Ti hanno ancora picchiato poco. Se darò disposizione ai funzionari, ti picchieranno molto più forte. Se provi a lamentarti, ti ammazzeranno e ti seppelliranno al di là del muro”. Mi picchiavano regolarmente, un paio di volte al giorno. Percosse costanti, vessazioni, umiliazioni, insulti, condizioni di detenzione intollerabili – tutto questo succede anche agli altri detenuti.
Tutte le misure disciplinari e le deportazioni nel reparto di isolamento sono state costruite e basate su menzogne palesi. Tutti i video in cui mi comunicavano le misure disciplinari erano delle messe in scena: prima di girarli mi dicevano come dovevo comportarmi e cosa dovevo fare, non discutere, non ribattere, guardare il pavimento. Altrimenti – dicevano – mi avrebbero ucciso e nessuno lo avrebbe scoperto, perché nessuno è al corrente di dove mi trovo. Non posso mandare lettere aggirando l’amministrazione e quest’ultima ha giurato di uccidermi se scriverò lamentele.
Nastja, nella mia prima lettera dalla colonia IK-7 ti ho scritto a riguardo della Corte Europea dei diritti dell’uomo, per aggirare la censura e dare comunque una minuscola allusione al fatto che qui non va tutto bene e che mi serve aiuto (non mi è arrivata nessuna delle lettere di Il’dar dalla colonia – nota di Anastasija Zotova).
Ti prego di pubblicare questa lettera, perché in questa colonia c’è un vero e proprio muro dell’informazione e non vedo altre possibilità di romperlo. Non chiedo di tirarmi fuori di qui e di trasferirmi in un’altra colonia: più di una volta ho visto e sentito come picchiano gli altri condannati, per questo la coscienza non mi permette di scappare da qui – ho intenzione di lottare per aiutare quelli che sono rimasti. Non ho paura della morte e più di tutto ho paura di non resistere alle torture e di arrendermi.
Se in Russia non è ancora stato abolito il “Comitato contro le torture”, chiedo il loro aiuto nell’assicurare, a me e agli altri detenuti, il diritto alla vita e alla sicurezza. Chiedo di rendere pubblico il fatto che il maggiore Kossiev minaccia direttamente di morte, se ci sono tentativi di lamentarsi di quel che succede.
Sarò felice se riuscirai a trovare un avvocato che potrà essere costantemente a Segeža e potrà prestare supporto legale.
Il tempo gioca contro di me. I video dalle telecamere di sorveglianza mostrerebbero le torture e le percosse, ma le probabilità che i video ci siano ancora sono sempre meno. Se ora mi sottoporranno ad altre torture, percosse e stupri, è improbabile che resista più di una settimana.
In caso di mia morte improvvisa ti potranno dire che la causa è stata suicidio, un incidente, fucilazione durante un tentativo di fuga o una rissa con un altro detenuto, ma questa sarebbe una bugia, sarebbe un omicidio pianificato dall’amministrazione con l’obiettivo di far fuori un testimone e una vittima delle torture.
Ti amo e spero di vederti, un giorno.
Tuo, Il’dar”
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Traduzione a cura di Maria Baldovin