La polizia turca ha arrestato lo scorso 25 ottobre i co-sindaci di Diyarbakir, Gultan Kisanak e Firat Anli, con l’accusa di terrorismo. I due esponenti del partito filo-curdo HDP secondo le autorità avrebbero fornito aiuto ai militanti del Pkk, il partito dei lavoratori curdo, illegale in Turchia. Nell’ordinanza del procuratore si legge che Kisanak e Anli avrebbero concesso l’uso di veicoli della municipalità per il trasporto dei cadaveri di combattenti del Pkk, promosso più autonomia per la popolazione curda concentrata nel sud-est del paese e tentato di scatenare proteste violente con i loro discorsi.
Un arresto simbolico
L’arresto ha scatenato un’ondata di proteste tra i cittadini curdi, che a migliaia si sono riuniti il giorno seguente davanti al municipio mentre la polizia tentava di disperderli con idranti e manganellate e le autorità oscuravano internet in tutta la regione. La rabbia è esplosa perché l’arresto ha un forte significato simbolico. Di recente erano finiti in manette altri 55 politici curdi locali dell’HDP e del DBP, ma la città di Diyarbakir è considerata la ‘capitale’ del Kurdistan turco.
E si tratta anche di arresti eccellenti: Kisanak è una figura di riferimento per la causa curda. Attivista politica fin dai tempi dell’università, finì in galera nella convulsa fase successiva al golpe del 1980. La prigione di Diyarbakir era allora sotto l’autorità dell’esercito e la tortura all’ordine del giorno. La stessa Kisanak resistette a pesanti umiliazioni e violenze fisiche e psicologiche, diventando proprio per questo simbolo di riscatto sul territorio come in parlamento. Diventata poi sindaco, progettava di trasformare quella stessa prigione in un museo.
Condannata anche la co-leader dell’Hdp curdo
Per molti si è trattata di una sorta di prova generale, per dar modo alle autorità di testare la reazione popolare in vista dell’arresto di politici curdi di primo piano. Un’ipotesi che si è affacciata da qualche mese, dopo che il parlamento ha revocato l’immunità ai deputati. Alcuni processi sono già in corso, uno è appena giunto a sentenza: il tribunale di Adana ha condannato il 2 novembre la co-leader dell’Hdp Figen Yuksekdag a 10 mesi di carcere per ‘propaganda a favore del terrorismo’. L’accusa riguarda un discorso commemorativo di Yuksekdag in onore di un sospetto membro del gruppo marxista-leninista MLKP, partito armato fuorilegge. Nelle ultime settimane il governo, dopo aver accusato Gulen e i suoi seguaci di aver architettato il golpe del 15 luglio, sta sostenendo che anche il Pkk ha avuto un ruolo – ovviamente in combutta con Gulen.
Nuovo giro di vite sui media, arresti a Cumhuriyet
Motivazione sufficiente al governo per estendere fino al 2017 lo stato di emergenza, che un report di Human Rights Watch bolla come scusa per rendere legali – o meno illecite – forme di tortura e di violazione dei diritti degli arrestati. La reazione al golpe ha raggiunto ormai numeri considerevoli: oltre 100mila licenziamenti tra i funzionari di ogni ministero, giudici, procuratori e insegnanti; più di 30mila arresti tra cui oltre 130 giornalisti; 180 quotidiani e reti tv chiuse; oltre 3mila tra università, fondazioni e associazioni costrette a chiudere i battenti. Nel mirino il 31 ottobre è finito di nuovo il principale quotidiano di opposizione Cumhuriyet, il giornale di Can Dundar, con l’arresto di 14 giornalisti inclusi il direttore Murat Sabuncu e l’editorialista Kadri Gursel.
Cosa sta succedendo nel Kurdistan turco
Chi pensava che le vaste epurazioni nell’esercito turco avrebbero bloccato le operazioni contro il Pkk si è dovuto ricredere. Nonostante le unità di stanza nel sud-est si siano rivelate le più massicciamente coinvolte nel golpe, la lotta tra i militanti curdi e Ankara non ha rallentato, per non parlare dell’intervento in Siria ancora in corso e le spinte verso Mosul in Iraq. Dopo lunghi mesi di guerriglia urbana, che hanno lasciato interi quartieri sventrati e rasi al suolo a Diyarbakir, Cizre, Silvan, adesso le azioni si sono spostate nelle zone rurali, mentre continuano gli attentati da parte del Pkk.
Una situazione tutt’altro che congelata, quindi, che lascia intravedere possibili evoluzioni in peggio. Le cronache registrano con frequenza crescente assassini politici, come nel caso di un mukhtar di Erciş in provincia di Van, ucciso a metà ottobre in un agguato a pochi giorni dal suo ingresso nel consiglio municipale. Alcuni amministratori nominati dal governo nei comuni dove i sindaci HDP eletti sono stati arrestati rinunciano inaspettatamente all’incarico, probabilmente a causa di minacce. Tutto avviene in un clima di sospetto cui contribuisce la rinascita delle guardie di villaggio, aumentate di numero e garantite con l’immunità, voluta lo scorso giugno dall’AKP per ottenere un controllo più capillare del territorio.