Questo è il terzo di una serie di articoli che esplorano le molteplici linee di divisione – politiche, nazionali, identitarie – che possono descrivere il calcio cipriota. La prima parte era dedicata alle divisioni politiche delle squadre greco-cipriote della capitale Nicosia/Lefkoșa e la seconda alla divisione dell’isola tra greco-ciprioti e turco-ciprioti. Questa terza parte esplora invece le tematiche politiche e nazionali che percorrono il mondo ultrà della città di Nicosia, determinando anche un differente atteggiamento nei confronti dei turco-ciprioti.
di Alessandro Mastroluca e Paolo Reineri
L’ultima capitale divisa d’Europa – internamente frazionata dalla cosiddetta green line, tracciata dai britannici già nel 1963, che oggi divide la parte meridionale (appartenente alla Repubblica di Cipro, riconosciuta dalla comunità internazionale) da quella settentrionale (sotto il controllo dell’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord) – è a sua volta culturalmente frammentata all’interno dello stesso versante greco-cipriota, come dimostra la compresenza di entità sportive distanti e incompatibili anche nelle appartenenze politiche.
L’APOEL Nicosia ha una tifoseria orgogliosamente di destra, che non nasconde il sostegno aperto all’idea di enosis (l’unificazione di Cipro alla Grecia), anche se respinge l’associazione diretta con partiti e associazioni politiche. All’opposto l’Omonia Nicosia, coerentemente con le sue origini, mantiene una connotazione apertamente di sinistra, pacifista e anti-razzista: numerose allo stadio sono le bandiere recanti l’effigie di Che Guevara e quelle comuniste con falce e martello.
I muri di Nicosia raccontano questa contrapposizione: le scritte inneggianti all’APOEL si accompagnano spesso a croci celtiche e persino a svastiche, mentre quelle pro-Omonia si affiancano sovente alle rivendicazioni antifa e alla simbologia della working class.
Entrambe le tifoserie hanno quale riferimento un unico gruppo ultrà dominante le rispettive curve: da un lato gli Ultras APOEL, nati nel 1979, che occupano la curva sud dello stadio GSP; dall’altro, posizionato nel settore nord dell’impianto, il Gate 9, che prende il nome non già dalla porta di ingresso allo stadio, come è consuetudine in area greca, bensì dal numero di maglia di Sotiris Kaiafas, prolifico attaccante dell’Omonia negli anni ’70 (fu Scarpa d’oro europea nel 1976, avendo realizzato 39 reti in una sola stagione sportiva).
Il Gate 9 è altresì noto per il suo impegno politico ad ampio raggio, non solo tramite la massiccia presenza di suoi membri nelle manifestazioni di piazza, ma anche quale entità a sé stante portatrice di rivendicazioni sociali e politiche nelle più varie sedi: soprattutto sui temi dell’antirazzismo e dell’ambientalismo.
Un anno particolarmente significativo per entrambe le tifoserie di Nicosia fu il 1992. Quanto ai biancoverdi dell’Omonia, perché nacque appunto il Gate 9. Quanto invece ai tifosi dell’APOEL, perché fu allora assunto quale simbolo cromatico – in aggiunta ai colori ufficiali gialloblù – l’arancione. Ciò avvenne in circostanze singolari: in occasione della trasferta di Champions League contro l’AEK Atene, gli ultrà dell’APOEL decisero goliardicamente di indossare al contrario i propri giubbotti creando un particolare effetto visivo nel settore ospiti. Il gesto ebbe risalto, e da allora l’APOEL è associato al colore arancione, come dimostrano la gran parte del materiale indossato dai tifosi e il nome del negozio ufficiale della società (Orange store).
È superfluo dilungarsi sulla lunga scia di incidenti che ha visto negli anni coinvolte le due tifoserie di Nicosia: tra scontri nelle strade e invasioni di campo, l’intero repertorio della violenza ultrà ha fatto da tempo capolino nella capitale cipriota. Lo stile di tifo è, ancora oggi, quello tipicamente sud-europeo: coreografico, organizzato, restìo a percorrere la china dell’hooliganismo indipendente (ovvero la focalizzazione sullo scontro fisico con le tifoserie avversarie a discapito di ogni velleità coreografica, e al contempo la ricerca della minor visibilità esterna possibile al fine di eludere i controlli di polizia). Forse perché la repressione poliziesca non ha raggiunto a Cipro i picchi toccati altrove, sebbene anche nell’isola esista un istituto analogo al DASpo (e cioè il divieto di accesso agli stadi per i tifosi resisi responsabili di condotte ritenute violente).
Il giovane movimento ultrà cipriota sembra avere gli anticorpi per sopravvivere a lungo: in ciò appare determinante il rapporto di forte identificazione tra semplici tifosi di curva e gruppi organizzati, percepibile anche osservando l’ampia diffusione delle magliette di produzione ultrà indossate dai ragazzi e dalle (non poche) ragazze che frequentano gli stadi, a riprova del radicamento di un così pregnante sentimento simbiotico.
Quanto alle amicizie è la politica a farla da padrona sul versante biancoverde: gli ultrà dell’Omonia vantano buoni rapporti con le tifoserie di Standard Liegi e Hapoel Tel Aviv, dettati dalla comune ideologia di sinistra e antirazzista. Gli ultrà dell’APOEL, dal canto loro, non hanno gemellaggi in ambito nazionale, nonostante il condiviso posizionamento politico – a destra, molto a destra – con le tifoserie più impregnate di “grecità”: su tutte, il Gate 1 dell’Apollon Limassol e i Maxhtec (“combattenti”) dell’Anorthosis Famagosta.
Greci e turchi
Resta infine un ultimo delicato tema, il più sentito e controverso di Nicosia: quello del rapporto con i “turchi”. Gli ultrà greco-ciprioti dell’Omonia hanno sulla questione una posizione assai peculiare tra le tifoserie dell’isola. Condannano l’invasione turca, come più in generale l’interventismo militare; ma allo stesso tempo si oppongono al nazionalismo e contestano il sistema educativo greco-cipriota che a loro dire propaganderebbe un forte risentimento anti-turco. In un derby contro l’APOEL, il Gate 9 ha ospitato in curva cinquecento turco-ciprioti ed esposto striscioni bilingue (in greco e in turco): da quel giorno gli ultrà dell’Omonia sono accusati da molte tifoserie cipriote di aver tradito l’identità nazionale ed etnica, come testimoniano anche alcune scritte nei pressi dello stadio dell’Anorthosis.
Tutt’altra storia sull’opposto versante cittadino. Alle partite dell’APOEL una sola bandiera ufficiale sventola allo stadio GSP: ed è quella greca. Un grande drappo ellenico viene abitualmente collocato pure in curva, a fianco dello striscione Ultras APOEL. La questione etnica è stata più volte all’origine di situazioni di forte tensione: nel 1986 l’APOEL Nicosia rifiutò di scendere in campo contro il Beşiktaş in Coppa dei Campioni, per protesta contro la perdurante occupazione militare turca nel nord di Cipro.
Né sono mancati episodi più recenti: detto che APOEL e Omonia – come è frequente in tutto il sud-est europeo – sono società polisportive, ebbe risalto mediatico quanto avvenne nel 2010 in occasione dell’incontro di basket tra l’APOEL Nicosia e i turchi del Karșiyaka, tanto che i fatti furono menzionati nella relazione annuale dell’ONU sul rispetto dei diritti umani a Cipro. Gli ultrà dell’APOEL tentarono di aggredire i giocatori turchi (tifosi ospiti non ve n’erano), e si scontrarono duramente con la polizia (greco-cipriota, schieratasi a difesa dei cestisti turchi). L’episodio richiama alla memoria quanto avvenne nel 1993 a Torino quando alcuni dei numerosissimi tifosi dell’Aris Salonicco giunti nel capoluogo piemontese attaccarono i giocatori dell’Efes Pilsen Istanbul al termine della finale di coppa Saporta di basket vinta dai greci.
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Foto: Paolo Reineri