New York, marzo 2016: mentre all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si svolge l’udienza privata tra il presidente turco Erdogan e il vicepresidente americano Joe Biden, gli Usa arrestano Reza Zarrab, uomo d’affari turco, il cui passato è legato a doppio filo con Erdogan. Goldfinger è il soprannome dato a Reza dalla stampa, visto il suo passato nel mercato dell’oro. Oro con cui avrebbe aggirato le sanzioni internazionali all’Iran attraverso banche turche, da cui l’accusa di riciclaggio e frode bancaria. Il 33enne Zarrab, cittadino turco-iraniano, con anche un passaporto rilasciato dall’Azerbaijan, uomo molto influente in Turchia, è vicino agli ambienti governativi di Ankara.
L’affaire Reza Zarrab tocca il governo turco
Cresciuto nell’élite turca, ha iniziato a sostenere gli interessi petroliferi iraniani, secondo gli Usa cercando di aggirare l’embargo sul nucleare. Erdogan vede tutta la vicenda come un tentativo di trascinare nel fango il suo nome. In una recente intervista al Deutsche Welle, Tolag Tanis, il corrispondente del quotidiano turco Hurriyet, conferma le reali preoccupazioni di Erdogan a causa del suo coinvolgimento nell’affaire Zarrab: stando alle sue informazioni, le autorità statunitensi hanno prove che Erdogan e altri dell’AKP siano coinvolti nella violazione delle sanzioni contro l’Iran. Il riferimento è ai documenti in possesso di Preet Bharara, pubblico ministero incaricato di seguire il caso. Il pm ha descritto i rapporti di Reza Zarrab con politici corrotti in Turchia facendo menzione di alcune tangenti pagate dal faccendiere turco all’ex ministro dell’economia, Zafer Caglayan Mehmet, per un totale di 10 milioni di dollari.
‘E’ un complotto di Gulen’
L’arresto di Zarrab è esploso come caso politico dopo il tentativo di golpe del mese di luglio, complici i crescenti attriti fra Erdogan e gli Usa. Poi a settembre Erdogan aveva fatto sapere che i pubblici ministeri Usa stavano cercando di coinvolgerlo nel caso. Il giudice Richard Berman, che si occupa della vicenda, il 30 agosto scorso aveva infatti respinto la richiesta di ricusazione, perché la difesa non aveva presentato ricorso entro la data utile. Alla richiesta, gli avvocati di Zarrab avevano allegato una dichiarazione consegnata da Erdogan mentre stava tornando da New York: nel testo si fa accenno al coinvolgimento di una cellula gulenista nella macchinazione del “complotto”. Erdogan ha infatti cercato di dimostrare che tutto fosse stato orchestrato dal suo nemico numero uno Fetullah Gulen, magnate di un impero miliardario e imam stabilitosi negli Usa.
Una nuova tangentopoli turca?
Reza Zarrab era già stato al centro di indagini diversi anni fa, in Turchia. Nell’inverno del 2013 il governo Erdogan era stato scosso dal più grande scandalo di corruzione della storia turca, la cosiddetta tangentopoli turca. La maxi-inchiesta è stata poi archiviata dopo che i magistrati che l’avevano aperta – arrestando proprio Zarrab – sono stati estromessi dall’indagine. Ma agli occhi dell’opposizione di governo è stato un pedestre tentativo di insabbiamento. Cacciati dalla magistratura alcuni pm che avevano aperto il caso sono fuggiti dalla Turchia, dove rischiavano il carcere con l’accusa di aver cospirato per rovesciare il governo.
Con l’arresto di Zarrab e le trame fra Teheran e Ankara, potrebbe quindi emergere un profondo coinvolgimento del governo turco e di Erdogan. Il destino dell’uomo d’affari, infatti, incrocia molto da vicino quello del presidente turco e della sua famiglia: nel suo dossier sono presenti pagine che riguarderebbero il figlio Bilal Erdogan, che per presunti motivi di sicurezza ha lasciato Bologna, dove viveva. Il processo per Reza Zarrab è previsto per il prossimo gennaio.