Nei giorni scorsi il presidente ceceno Ramzan Kadyrov è ritornato sulla questione dell’intervento russo in Siria, proponendo di addestrare le truppe del presidente siriano Bashar al-Assad in Cecenia. Stando a quanto riportato dall’agenzia di informazione russa Novosti, a distanza di un anno dall’inizio della missione russa e dopo una ritirata annunciata lo scorso marzo, Kadyrov ha dichiarato che non sono presenti truppe cecene o addestratori in Siria, ma si è detto pronto ad addestrare le truppe di Assad in un esclusivo centro di addestramento attualmente in costruzione: “perché no? Il governo siriano è un nostro alleato e insieme stiamo sconfiggendo il terrorismo. […] Sconfiggendo i terroristi in Siria, sarà più facile per la Russia”.
La struttura in questione ricostruisce una vera e propria città dove poter simulare una guerra, un enorme centro di addestramento internazionale per forze speciali già attivo che il neoeletto presidente sta ultimando nella città cecena di Gudermes. Stando al progetto iniziale, che prevede la fine dei lavori entro il 2018, sarà il più grande complesso di questo genere, capace di attrarre anche delegazioni militari straniere. Tra le strutture presenti vi saranno gallerie di tiro, percorsi di guerra, palestre specializzate e addirittura apposite aree dove simulare liberazioni di ostaggi o altri combattimenti.
Nell’ultimo anno, mentre la Russia svolgeva un ruolo attivo nel contrastare gli avversari di Assad in Siria, la Cecenia non è rimasta affatto a guardare: già nel settembre 2015, quando il Cremlino dava il via ai raid aerei, Kadyrov avrebbe chiesto al presidente Putin di inviare il suo “battaglione della morte” in Siria, perché “i terroristi non sanno che cosa sia la vera guerra, hanno avuto a che fare solo con attacchi aerei, mai con una vera azione militare”, mentre i suoi uomini avrebbero “spazzato via i jihadisti in poche settimane”.
Nel frattempo, le vicende nella polveriera siriana hanno continuato a complicarsi. Putin non ha mai accolto la proposta del presidente ceceno, preferendo continuare a colpire con i raid aerei, ma è ormai un dato di fatto che gli attacchi russi dell’ultimo anno abbiano colpito soprattutto civili e non solo “i terroristi”, e che oltre ai gruppi fondamentalisti stiano puntando ad eliminare tutta l’opposizione, comprese le diverse fazioni di ribelli anti-regime.
L’appoggio russo ad Assad ha innanzitutto dimostrato l’intenzione di Putin di contrastare l’Occidente e reimporsi come grande potenza in Medio Oriente (con la base navale di Tartus come fulcro degli interessi). Inoltre, con la scusa di “reagire con la forza contro terroristi che minacciano un governo legittimo”, l’intervento russo in Siria ha preso la forma egemonica di quelle che sono state le guerre in Cecenia e in Ucraina.
Ed è su queste basi che il presidente Kadyrov ha modellato il suo ruolo: con un esercito tra i più potenti e il piano di costruire il centro di addestramento più grande del mondo, la guerra dichiarata al jihadismo non è più una mera questione di sicurezza interna, ma ha assunto una valenza superiore e coincidente con quella di Putin, il quale dopo uno spiraglio di pace, ha continuato ad agire in Siria attraverso le basi russe di Latakia e Tartus e quella iraniana di Hamedan, per l’uso della quale sono stati stretti nuovi accordi con il governo di Teheran.
In entrambi i casi, per Putin come per Kadyrov, quello che sembra non mancare è l’appoggio da parte della popolazione, almeno sulla carta. Le recenti elezioni hanno infatti visto il partito di Putin trionfare alle legislative e una quasi unanimità di preferenze per Kadyrov alle presidenziali cecene: il mix tra anti-occidentalismo e protagonismo geopolitico sembra funzionare ancora in Russia.
Questo articolo è frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association. Le analisi dell’autore sono pubblicate anche su PECOB, Università di Bologna.