DOSSIER SIRIA: Il sogno dei curdi è l’autonomia del Rojava

I curdi siriani stanno attraversando i caotici conflitti in medio oriente degli ultimi anni come una opportunità storica. Là dove più o meno tutti gli attori coinvolti tra Siria e Iraq cercano soltanto di non scomparire dallo scacchiere, o di mantenere intatta la propria influenza nel caso migliore, i curdi vedono una concreta possibilità di rivalsa.

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L’obiettivo è l’autonomia, la forma di questa autonomia ancora incerta. Ma che sia un’entità federale entro i confini siriani o una vera e propria nazione indipendente, il Rojava (Kurdistan occidentale in lingua curda) non è mai stato più a portata di mano quanto oggi.

La lezione di San Francisco

La via per ottenere un riconoscimento esplicito, però, è assai tortuosa e modellata secondo esigenze e umori altrui: Russia, Usa, regime di Assad, Turchia più di altri. È una strada, quella che può portare al Rojava autonomo, costellata di contatti, intese, alleanze esplicite e altre più taciute. Una strada dove guerra e politica sono continuamente intrecciate e procedono di pari passo per evitare che si arrivi allo stallo.

La Turchia è contraria da quasi un secolo a ogni forma di autonomia curda nella regione, e anche in questo caso si oppone. Ma il principale partito curdo siriano, il Pyd che oggi amministra il Rojava, negli ultimi anni ha intessuto rapporti con Mosca e Washington e mantenuto tutto sommato un atteggiamento neutrale verso Damasco. Il gioco è rischioso: per l’intera opposizione siriana i curdi sono ormai collaborazionisti, mentre troppa propensione verso Russia o Usa può costare l’appoggio dell’altra potenza. Ma, allo stesso tempo, agli occhi dei curdi questo percorso appare necessario.

Storicamente i curdi e i loro (frammentati) movimenti di liberazione sono stati pedine mosse da Iraq, Iran, Turchia e Siria e dalle potenze con interessi nella regione. E quando si trattava di riscrivere i confini erano sempre troppo deboli per far valere le proprie ragioni. E anche troppo ottimisti. Alla conferenza di San Francisco, al termine della seconda guerra mondiale, si presentarono con la loro cartina del Kurdistan: dall’Armenia al golfo Persico. Troppo, e senza alcuna forza per negoziare. Infatti non parteciparono nemmeno alla seconda seduta e il Kurdistan rimase soltanto su quella cartina.

Amici di tutti, alleati di nessuno

Oggi, con la guerra in Siria, possono arrivare ai negoziati di pace con molta più forza. Ma prima di tutto devono arrivarci, cioè ottenere una qualche forma di riconoscimento, come insegna l’esperienza di San Francisco. Quanto fatto finora – stesa una costituzione, riavviata la macchina amministrativa, promesse elezioni a breve, rassicurati i vicini che non cercano la secessione ma solo un assetto federale – non basta. Serve l’ok da parte di tutti. Così i curdi siriani continuano a procedere con cautela.

Nessuna offensiva contro Assad, che anzi mantiene ancora oggi, indisturbato, alcune basi militari nel nord-est. Un passo verso la Russia con il primo ufficio di rappresentanza del Rojava all’estero aperto lo scorso febbraio a Mosca. Il leader del Pyd Salih Muslim ha persino ringraziato la Russia perché avrebbe impedito che la Siria diventasse “parte di un nuovo impero ottomano”, ed è solo l’ultimo degli apprezzamenti. Ma la cautela è reciproca: l’ufficio non ha il rango di una missione diplomatica, soltanto di una organizzazione internazionale. Eppure senza l’appoggio russo i curdi sanno che otterranno ben poco. Così è arrivata anche la collaborazione sul campo: insieme hanno tagliato due volte la linea di rifornimento dei ribelli a nord di Aleppo. L’intesa sembra continuare.

Con gli Usa i curdi siriani vantano più crediti: sono l’unica forza valida che Washington può usare contro l’Isis. Un ruolo determinante, che adesso fanno valere sul piano diplomatico. Per l’offensiva di Raqqa si vuole l’appoggio dei curdi? Bene, allora si riconosca il Rojava e ci si faccia sedere al tavolo della diplomazia, hanno replicato di recente. Quello stesso tavolo cui la Russia li ha già invitati, gli Usa finora no per evitare reazioni scomposte della Turchia.

La lezione di Losanna

Per quanto i curdi siriani cerchino di mantenere relazioni equilibrate con tutti gli attori in gioco in Siria, sulla loro idea di Rojava autonomo continua però a pendere una pesante incognita. Proprio come in passato – tra Sèvres e Losanna, all’indomani della prima guerra mondiale – anche questa volta gli interessi delle grandi potenze possono schiacciare ogni loro aspirazione. Continuano, cioè, ad apparire sacrificabili se l’opportunità politica lo richiedesse.

Il loro federalismo mal si concilia con una Siria unita (per come viene pensata fino ad ora, almeno). Ma anche l’opzione opposta, quella di uno smembramento del paese in più staterelli, non consegnerà necessariamente loro l’indipendenza. La Turchia ad esempio farà carte false per evitarlo. Mosca potrebbe essere troppo indaffarata a mantenere Damasco per appoggiare la causa curda. Gli Usa, se dicessero di sì, da un lato potrebbero giocarsi le relazioni con un altro membro Nato come la Turchia, mentre dall’altro, finché il Rojava resta in mano al Pyd, si troverebbero ad appoggiare un’entità ideologicamente agli antipodi rispetto alla propria e difficilmente controllabile.

Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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