Domenica scorsa in Azerbaigian si è tenuto un referendum fondamentale per il futuro del paese caucasico. Numerose modifiche costituzionali, dopo esser state già approvate dalla Corte Costituzionale, avevano bisogno del 25% del voto popolare per entrar in vigore. Soglia ampiamente surclassata: come già previsto dai sondaggi, una maggioranza esorbitante dell’88,9% ha dato il proprio nulla osta alle riforme proposte dal governo. Il nuovo testo è legge.
C’è il forte sospetto che queste riforme riescano a sovvertire del tutto la già compromessa architettura democratica di un paese governato dalla stessa famiglia ininterrottamente dal 1993. In quello che pare una versione azera (e non parlamentare) della pratica italiana del canguro, gli elettori azeri sono stati chiamati a esprimersi liberamente su ben 29 emendamenti costituzionali, tra modificati e introdotti.
Oltre all’estensione da cinque a sette anni del mandato presidenziale, altre novità meritano particolare attenzione. Novità legislative apparentemente innocue, ma che vanno valutate ed interpretate sullo sfondo di quella che è oggi la realtà politica e sociale altamente repressiva del “primario fornitore di petrolio del nostro paese”.
Cosa cambia dopo il referendum
Se alcuni cambiamenti di tipo formale, come la sostituzione del termine “nazionalità” con “etnicità” al comma II dell’articolo 25 (diritto all’uguaglianza) non sembrano comunque irrilevanti, sono, come prevedibile, i cambiamenti sostanziali quelli che hanno innescato le critiche più vibranti. Principalmente, questi cambiamenti consistono in formulazioni vaghe e fumose che potrebbero dare copertura legale ad atti socialmente controversi.
L’articolo 29 fornisce un buon esempio di questa ambiguità semantica. Nei due nuovi commi che vengono inseriti, si menziona che (comma V), “la proprietà privata comporta responsabilità sociale” e che (comma VI), quindi, “i diritti di proprietà sugli appezzamenti di terreno possono essere limitati per legge per garantire giustizia sociale e effettivo utilizzo degli appezzamenti”. L’astrattezza degli ultimi due termini potrebbe, presumibilmente, legittimare l’esproprio statale di ciascun terreno che venga valutato come non sufficientemente sfruttato.
Ancora, nella nuova versione del comma III dell’articolo 47 (libertà di pensiero ed espressione), l’attività di propaganda viene proibita non solo, come è stato il caso finora, se intenzionata a provocare contrasti tra diversi gruppi religiosi, nazionali o sociali, ma anche se promuove “ostilità basata su qualsiasi altro criterio”. In un paese che, come abbiamo già raccontato su questo giornale, non brilla per libertà di stampa e di espressione, non è difficile immaginare che la prevenzione di questa “ostilità basata su qualsiasi altro criterio” possa tradursi in decisioni arbitrarie e tendenzialmente liberticide. Il nuovo comma IV dell’articolo 36 (diritto di sciopero), invece, proibisce la possibilità di serrata, “eccetto nei casi previsti dalla legge”. Sulla stessa lunghezza d’onda, suona sinistra la nuova integrazione del comma II dell’articolo 49 (libertà di riunione): d’ora in poi ci si potrà ritrovare in luoghi pubblici, soltanto “a condizione di non minacciare l’ordine sociale e la pubblica morale”.
Gabinetto di famiglia: repubblica o monarchia?
Tuttavia, il coup de théâtre di questo referendum ha riguardato la nuova conformazione della carica di Vicepresidente. Una serie di novità, come la sua nomina diretta da parte del Presidente e l’abbassamento della soglia richiesta per il diritto all’eleggibilità (da 25 a 18 anni), fanno paventare ai malpensanti che lo scopo ultimo del referendum fosse la volontà del presidente Aliyev di lanciare il proprio rampollo Heydar in politica. Il diciannovenne erede del presidente si vedrebbe così già spianata la strada verso la successione al potere, rinnovando la tradizione di famiglia inaugurata dal nonno. Così, il processo di progressiva compenetrazione tra apparato statale azero e famiglia del presidente, clan a capo del vastissimo impero economico scoperchiato nell’aprile scorso dall’inchiesta Panama Papers, riceverebbe l’ennesimo imprimatur, riaffermando lo stato di coma della democrazia azera.
Nonostante il clima intimidatorio che ha caratterizzato la votazione, denunciato con uno status Facebook anche dalla celebre giornalista di Radio Free Europe Khadija Ismaylova, l’Unione Europea aveva già comunicato in precedenza che avrebbe rispettato qualunque risultato del referendum, poiché “la volontà della nazione è la cosa più importante“.