Il Consiglio UE ha deciso, martedì 20 settembre, di dare seguito alla candidatura d’adesione all’UE della Bosnia ed Erzegovina, depositata lo scorso 15 febbraio. I 28 stati membri hanno quindi chiesto alla Commissione UE di redigere un’opinione sulla Bosnia ed Erzegovina e su quali riforme saranno necessarie al paese per aderire all’Unione. Si apre così il processo formale di adesione anche per Sarajevo, che ancora è alla casella iniziale come “stato potenzialmente candidato”.
A inizio anno il Consiglio UE aveva posto come condizione alla Bosnia ed Erzegovina, per prendere in considerazione la domanda d’adesione, un significativo progresso nell’applicazione dell’Agenda di Riforme volte a migliorare la grave situazione socioeconomica nel paese, a partire dalla disoccupazione giovanile. Assieme a ciò, la Bosnia avrebbe dovuto instaurare un “meccanismo di coordinamento” funzionante tra tutte le autorità del paese per quanto riguarda le materie di rilevanza UE, e procedere all’adattamento dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’UE che tenesse in conto dell’adesione della Croazia all’UE, intervenuta nel frattempo. Tra luglio e agosto le autorità di Sarajevo e Banja Luka si sono accordate sugli ultimi due punti, mentre Commissione e istituzioni finanziarie internazionali (FMI e Banca Mondiale) hanno verificato il progresso sull’Agenda di Riforme.
La Commissione UE inoltrerà ora a Sarajevo un questionario di migliaia di domande – oltre ad organizzare missioni di esperti – per verificare lo stato delle istituzioni e della legislazione del paese, e la loro compatibilità con il diritto UE. Questo processo, che dura in media un anno e mezzo, porterà la Commissione a stabilire quali priorità chiave la Bosnia ed Erzegovina dovrà affrontare, prima che il Consiglio possa decidere di concederle lo status di paese candidato ed aprire in seguito i negoziati d’adesione.
Si tratta di una notizia fondamentale per il paese balcanico, che proprio in questi giorni si trova in una situazione delicata. Per domenica 25 settembre infatti è previsto in Republika Srpska (RS), una delle due entità di cui è composto il paese, un referendum consultivo volto a confermare la “giornata della RS” per il 9 gennaio. La Corte Costituzionale del paese ha dichiarato tale festività incostituzionale poiché contraria al principio di eguaglianza tra i tre popoli costitutivi, e sabato scorso ha ingiunto alle autorità della RS di sospendere il referendum. Ma a Banja Luka il presidente Dodik è deciso ad andare avanti, nonostante i tentativi di dissuasione, anche in vista delle elezioni locali che si terranno tra sole due settimane, domenica 2 ottobre.