Donald Trump? Ricorda tanto – troppo – Slobodan Milosevic. Lo dice Milan Panic, uno che se ne intende potremmo dire. Già, perché Panic viene da una storia interessante. Belgradese, emigrò negli anni cinquanta in California e lì, da vero self-made man di successo, impiantò una industria farmaceutica con un capitale iniziale di soli 200 dollari che vent’anni dopo veniva quotata alla Borsa di New York. Ma Panic non è solo un abile capitano d’industria. Perché nel luglio del 1992 Milosevic, vozd di una Jugoslavia ormai ridotta alla Serbia ed al Montenegro ed impantanata dalle guerre e dalla povertà, tirò fuori dal cappello l’idea un po’ surreale di fare primo ministro questo miliardario americano di origini serbe. Il quale, parlando a fatica un serbocroato quasi dimenticato, accettò dicendo: “Sto per salire su una nave pirata. Ma quando sarò capitano, diventerà una nave di pace”. Lo scontro tra i due si aprì subito: Panic, un idealista di stampo wilsoniano, alla pace ci credeva davvero ed i nazionalismi grandeserbi pompati da Belgrado (virulenti in Bosnia come nella Krajina croata) gli apparivano incomprensibili. Infatti durò poco: alla fine dello stesso anno, in un crescendo di accuse ed insulti, perse le elezioni presidenziali serbe in cui Milosevic ebbe il 56% mentre entrarono nel Parlamento di Belgrado personaggi famigerati come Seselj ed Arkan. Panic se ne tornò negli Stati Uniti proseguendo la sua attività di imprenditore ma anche impegnandosi in campo filantropico e pacifista.
Non meraviglia allora l’articolo da lui scritto recentemente su Trump per “Usa Today” in cui l’incipit rivela subito, senza mezzi termini, il pensiero nato dalla breve e sofferta esperienza jugoslava di Panic: “When I served as Yugoslavia’s prime minister 24 years ago, at a time when my homeland was fracturing into separate republics, I often found myself surrounded by nationalistic politicians who cynically trafficked in fear and hate. Now, whenever I hear Donald Trump stoking fear and attacking minorities and foreigners, I feel a sick and familiar sensation in the pit of my stomach. To fuel his political ambitions, Trump is exploiting the same malevolent forces that once made Yugoslavia an ethnically divided war zone and that are on the rise again across Europe.”
Di conseguenza oggi Trump è “a big bully who is enabling many little bullies”, come lo fu a suo tempo Milosevic che scatenò personaggi come Seselj, quel Seselj assolto dal tribunale dell’Aia che non a caso ora invita apertamente a votare per Trump.
Panic ricorda anche come l’insistere trumpiano sull’alimentare l’odio e la paura verso minoranze, musulmani e stranieri immigrati (fino al rimpatrio forzato di 11 milioni di persone!), nonché il suo “Make the America great again”, riecheggino fin troppo un déjà vu balcanico da lui a suo tempo inutilmente contrastato. Panic non dimentica anche il ruolo dei media che nella mini-Jugoslavia, abilmente orchestrati da Milosevic, facilitarono la sua veloce débacle; ma anche negli Stati Uniti oggi “our national news media have too often enabled Trump’s rise, and exacerbated his worst impulses, through unceasing yet uncritical coverage.” E così molto wilsonianamente conclude il suo articolo: “America has always been great because it is a country founded in hope. We must not succumb to the fear, anger and despair that scarred so much of Europe. We must not fulfill the political ambitions of Donald J. Trump.”
L’8 novembre ci dirà se davvero il fantasma di Milosevic, attraversato l’oceano sulle ali della paura e dell’odio, arriverà a balcanizzare perfino gli Stati Uniti.
Foto: CNN