Kosovo Rio 2016 Majlinda Kelmendi judo

RIO 2016: Prima olimpica per il Kosovo

Majlinda Kelmendi sarà la portabandiera del Kosovo alle Olimpiadi di Rio 2016. Una judoka, due volte campionessa del mondo e due volte campionessa europea nella categoria 52 kg, la Kelmendi è anche l’unica della delegazione olimpica kosovara ad avere esperienza nella competizione a cinque cerchi. Nel 2012 infatti prese parte alle Olimpiadi di Londra 2012, gareggiando sotto la bandiera dell’Albania, dopo il rifiuto da parte del CIO di farla competere con la bandiera del Kosovo o con quella olimpica degli atleti indipendenti. Rispetto a quattro anni fa, però, qualcosa è cambiato. Nel dicembre 2014 il Comitato Olimpico Nazionale del Kosovo è stato ammesso ufficialmente a far parte del Comitato Olimpico Internazionale, aprendo la strada alla partecipazione della repubblica ex jugoslava ai Giochi di Rio.

All’indomani della storica decisione del CIO, il viceministro degli Esteri kosovaro Petrit Selimi dichiarò: «I kosovari stanno celebrando probabilmente il giorno più importante dalla dichiarazione di indipendenza. Le nazioni moderne non riguardano solo la partecipazione a UE, Consiglio d’Europa e ONU. Pertengono anche la formazione di identità moderne, in cui la presenza di una squadra olimpica è un simbolo di identità nazionale e orgoglio di pari legittimità».

Uno dei risvolti della decisione del CIO è proprio la legittimazione del Kosovo in quanto repubblica indipendente. Se, come diceva Eric Hobsbawm, «le comunità immaginate di milioni sembrano più reali in una squadra di undici persone», la presenza di una delegazione kosovara alle Olimpiadi ha il doppio effetto di legittimare questa comunità sul piano interno (legando emotivamente i concetti di sport e nazione) e sul piano internazionale, portando il Kosovo alla ribalta di un palcoscenico visto da miliardi di persone, con la sua bandiera e il suo inno.

Gli altri effetti dell’ammissione del Kosovo nel CIO e della conseguente apertura delle organizzazioni sportive sovranazionali alle federazioni della repubblica hanno carattere più prettamente pratico. Da una parte c’è la possibilità di mettere fine a un isolamento che, in alcuni casi, rendeva impossibile competere nei circuiti dello sport “che conta”. Basti pensare alla situazione del calcio kosovaro fino al 2014: per un club o una nazionale affiliati alla FIFA era vietato organizzare incontri amichevoli con club kosovari o con la rappresentativa della repubblica, pena sanzioni. E per i club kosovari, esclusi dal sistema internazionale dei trasferimenti (Transfer Matching System, TMS) fino al 2011, non c’erano tutele nella compravendita di giocatori: i contratti, al di fuori dei confini della repubblica, erano carta straccia.

Infine, entrare a far parte delle organizzazioni sportive internazionali – come la FIFA, la UEFA (entrambe avallate lo scorso maggio nei primo congresso post-Blatter e post-Platini) e il CIO – significa per lo sport kosovaro la possibilità di accedere ai fondi di sviluppo concessi dalle confederazioni ai loro membri. Un gettito più che mai vitale per lo sport della repubblica, che versa in condizioni finanziarie e infrastrutturali disastrose. Basti pensare alla situazione della federazione di nuoto, che porterà a Rio 2016 due atleti (Lum Zhaveli nei 50 m stile libero maschili e Rita Zeqiri nei 100 m dorso femminili). Zhaveli contrasse una grave broncopolmonite a causa delle condizioni igieniche della piscina di Pristina in cui si allenava. Dopo la chiusura dell’impianto nel 2008, lui e gli altri nuotatori della squadra kosovara dovettero recarsi all’estero, nella capitale macedone Skopje, per potersi allenare in una piscina di dimensioni olimpioniche.

Oltre a essere la portabandiera, Majlinda Kelmendi è anche – tra gli otto della delegazione – l’unica con apparenti possibilità di riportare in Kosovo una medaglia. Ad allenarla è Driton Kuka, campione di judo negli ultimi anni della Jugoslavia, che rinunciò nel 1992 alla sua unica occasione olimpica. A Barcellona avrebbe dovuto gareggiare per la neonata Bosnia, ma per farlo avrebbe dovuto attraversare il territorio sotto il controllo di Belgrado, rischiando l’arresto e l’arruolamento forzato nell’esercito nazionale jugoslavo.

A Rio de Janeiro nel 2013, competendo con i colori del Kosovo, la Kelmendi si laureò campionessa del mondo battendo la brasiliana Erika Miranda. Un anno dopo si trovò a difendere il titolo contro la romena Andreea Chițu, vedendosi però togliere la possibilità di lottare per la bandiera e l’inno kosovaro, sostituiti dal vessillo della Federazione Internazionale di Judo e dall’inno olimpico. La motivazione, secondo la Kelmendi, fu politica: il torneo del 2014 si tenne nella russa Čeljabinsk, sotto gli occhi di Vladimir Putin (judoka egli stesso, con una cintura nera all’ottavo dan), strenuo sostenitore dell’opposizione serba al riconoscimento del Kosovo.

Dopo un infortunio al ginocchio, la Kelmendi ha dimostrato di essere tornata in forma da competizione lo scorso aprile, in occasione dei Campionati Europei, trionfando contro la franco-ivoriana Priscilla Gneto e prendendosi una rivincita personale e collettiva: il torneo si teneva di nuovo in Russia, a Kazan, e stavolta a risuonare sono state le note di Evropa, l’inno nazionale kosovaro.

Chi è Damiano Benzoni

Giornalista pubblicista, è caporedattore della pagina sportiva di East Journal. Gestisce Dinamo Babel, blog su temi di sport e politica, e partecipa al progetto di informazione sportiva Collettivo Zaire74. Ha collaborato con Il Giorno, Avvenire, Kosovo 2.0, When Saturday Comes, Radio 24, Radio Flash Torino e Futbolgrad. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla democratizzazione romena, ha studiato tra Milano, Roma e Bucarest. Nato nel 1985 in provincia di Como, dove risiede, parla inglese e romeno. Ex rugbista.

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