A sei anni dall’interruzione delle relazioni diplomatiche fra Israele e Turchia i due paesi hanno imboccato la strada della riconciliazione firmando l’accordo di Roma del 28 giugno. In una dichiarazione rilasciata ad Al Jazeera, Erdogan ha affermato: “Turchia ed Israele hanno stretto un accordo. Quest’ultimo non subirà modifiche nonostante i drammatici eventi che hanno da poco sconvolto la Turchia”. Nonostante l’instabile situazione del dopo-golpe permane dunque l’intenzione di rispettare i termini dell’accordo con Israele.
Lo schiaffo della Mavi Marmara
L’accordo firmato il 28 giugno conclude la lunga crisi diplomatica seguita all’incidente della Mavi Marmara nel 2010, quando nove attivisti turchi venivano uccisi in acque internazionali dalle forze speciali israeliane nel tentativo di forzare il blocco su Gaza. L’incidente aveva radicalizzato l’opinione pubblica turca nelle sue posizioni verso Israele e al contempo avveniva in una fase di intensa retorica anti-israeliana alimentata dal presidente Erdogan. Le relazioni diplomatiche venivano quindi sospese e i rispettivi ambasciatori richiamati.
Bisogna rammentare però che i protagonisti dell’accordo non nutrono una rivalità antica: siglando il patto, dunque, non inaugurano un’amicizia fra ‘vecchi nemici’, ma più che altro riabilitano una relazione che in passato era stata eccellente. Non a caso la Turchia nel 1949 fu il primo stato musulmano a riconoscere lo stato d’Israele ed a considerare quest’ultimo un partner strategico nella regione. L’ingresso nella Nato nel 1952 aveva rafforzato questo legame, approfondendo le relazioni politiche, economiche e militari.
Piantare una bandierina a Gaza
L’accordo avrà conseguenze importanti sul piano economico e la politica energetica: Israele sarà in grado di adoperare il gasdotto turco per trasportare il gas del grande bacino Leviathan in Europa. E già si intravedono effetti anche negli equilibri della regione. Una delle condizioni poste da Ankara per il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con Israele era il miglioramento della situazione umanitaria a Gaza. La Turchia è infatti il principale sponsor di Hamas, movimento politico affiliato alla Fratellanza Musulmana, in questo momento in difficoltà proprio a causa del deterioramento delle condizioni di vita nella Striscia.
Nell’esercitare questa influenza, tuttavia, la Turchia si scontra inevitabilmente con lo stato che storicamente fa da mediatore nel conflitto israelo-palestinese: l’Egitto di Al-Sisi viene considerato dagli israeliani un importante interlocutore sulla questione palestinese poiché in grado di esercitare una notevole influenza sull’ANP. La visita in Israele del ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry (10 luglio), a nove anni dall’ultima di un ministro egiziano, dimostra la rinnovata assertività del Cairo sia sulla questione palestinese che nel teatro regionale.
Il triangolo Ankara – Tel Aviv – Il Cairo
Durante questa visita Shoukry ha espresso la contrarietà dell’Egitto all’accordo Ankara–Tel Aviv: oltre a volersi assicurare il ruolo privilegiato nel conflitto (anche a dispetto dell’iniziativa di pace francese, che pure dice di sostenere), il Cairo anti-islamista di Al-Sisi intende contenere Hamas ed impedire qualsiasi agevolazione per i militanti della Fratellanza Musulmana palestinese. L’accordo tra Ankara e Tel Aviv, che libera alcuni spazi di manovra per la Turchia a Gaza, non fa che aggiungere ulteriore tensione alla rivalità turco-egiziana. Erdogan e la sua politica filo-islamista si pongono infatti in posizione antitetica all’Egitto di Al-Sisi, nato proprio dal colpo di stato del luglio 2013 che ha deposto il governo islamista di Morsi.
L’accordo con Israele e le sue conseguenze con l’Egitto mettono in luce un aspetto fondamentale della Turchia di Erdogan, ovvero l’attrito fra l’islamismo come vettore di politica estera da un lato, e dall’altro lato un potere militare che, sotto il vessillo del laicismo, preme per seguire altri binari e geometrie di alleanze. Questa tensione si manifesta contemporaneamente su due piani: su quello interno, con il colpo di stato e il coinvolgimento dell’anima kemalista che vi ha partecipato; e su quello esterno, dove l’accordo con Israele e le conseguenti tensioni con l’Egitto ne sono una manifestazione evidente.