ARMENIA: Dalla crisi degli ostaggi alle proteste in strada. Come sta evolvendo la situazione a Yerevan

Da diversi giorni l’Armenia, e in particolare la capitale Yerevan, è scossa da una preoccupante ondata di tensioni che ha finito per mettere a serio rischio gli equilibri interni del paese, evidenziando tutte le crepe di una società che da tempo cova al suo interno sentimenti di rabbia e di rivincita nei confronti di un governo dal quale non si sente più rappresentata.

Tutto è iniziato lo scorso 17 luglio, quando a partire dalle 5.30 di mattina tra le strade della capitale Yerevan è scoppiato il caos, quando un gruppo di uomini armati ha tentato di mettere in atto una vera e propria insurrezione, entrando in una stazione di polizia presso il quartiere Erebuni e prendendo in ostaggio alcuni poliziotti, tra cui il capo della polizia di Yerevan Valery Osipyan, giunto sul posto per negoziare.

Barricatisi all’interno della stazione di polizia, gli insorti hanno chiesto le dimissioni del presidente Sargsyan e del suo governo, nonché la liberazione di Jirair Sefilyan, veterano della guerra del Nagorno-Karabakh arrestato lo scorso 20 giugno dalle autorità locali con l’accusa di acquisto e trasporto di armi illegali, dietro al cui fermo ci sarebbero però motivazioni politiche. Dopo un’iniziale sparatoria, in cui un poliziotto ha perso la vita, le forze di polizia hanno accerchiato l’edificio, avviando una serie di lunghe trattative.

Nel frattempo la città è stata blindata e le principali arterie stradali sono state bloccate da mezzi della polizia, che hanno impedito la circolazione e in particolare l’accesso al quartiere Erebuni. La notizia della crisi degli ostaggi ha immediatamente mobilitato gli attivisti locali, che per combattere l’iniziale oscurantismo del governo hanno cercato di tenere aggiornata la popolazione sull’evolversi della situazione attraverso la rete. Lo stesso giorno centinaia di persone hanno iniziato a scendere in piazza manifestando il proprio sostegno ai ribelli, invocando le dimissioni di Sargsyan e del governo.

Tornando alle trattative con gli insorti, inizialmente le autorità hanno ottenuto la liberazione di alcuni degli agenti presi in ostaggio, in cambio della scarcerazione di diverse figure vicine a Sefilyan, grazie anche alla mediazione di diversi leader dell’opposizione. La situazione si è però bloccata nei giorni successivi, quando i negoziati sono entrati in una fase di stallo, con i ribelli che attualmente detengono ancora quattro poliziotti in ostaggio all’interno della caserma occupata.

Intanto, a partire dal 20 luglio le proteste si sono intensificate in tutta la città, con i manifestanti a sostegno dei ribelli che dopo aver chiesto inutilmente al governo di provare a risolvere in modo pacifico la questione si sono barricati nelle vie della capitale, ingaggiando violenti scontri con le forze dell’ordine e scagliando pietre e altri oggetti contro il cordone di polizia, che per disperdere la folla ha fatto ricorso ai gas lacrimogeni e alle granate stordenti. Decine di manifestanti – tra cui anche alcuni membri del partito d’opposizione “Accordo Civile” – sono stati arrestati, mentre altrettanti sono rimasti feriti, così come anche diversi poliziotti.

La crisi degli ostaggi di Erebuni e le conseguenti proteste fanno tornare alla mente le vicende della scorsa estate, quando tra giugno e luglio il movimento di protesta poi conosciuto come Electric Yerevan scosse l’intero paese, portando centinaia di persone a scendere in piazza per protestare pacificamente contro l’aumento del prezzo dell’energia elettrica. Allora come oggi centinaia di manifestanti occuparono le principali vie cittadine, arrivando fino in via Baghramyan, dove si trova il palazzo presidenziale, chiedendo a Sargsyan di fermare l’annunciato innalzamento delle tasse. Anche allora le forze dell’ordine reagirono duramente, sgomberando con la forza le vie del centro, arrestando diverse persone. Alla fine, dopo avere ricevuto un ultimatum dalle autorità, i manifestanti posero fine all’occupazione, disperdendosi tra le vie della capitale.

Le proteste dell’anno scorso, così come quelle derivate dall’attuale crisi degli ostaggi, rappresentano solo alcune delle disperate rivolte verificatesi negli ultimi anni nel paese caucasico.  Da tempo infatti la popolazione armena è stanca di vivere in una società corrotta e senza prospettive, che non è in grado di garantire un futuro ai propri cittadini. Le proteste di Erebuni rappresentano l’ennesimo lamento di un popolo che, stufo di non essere ascoltato dal proprio governo, il quale invece pensa a rafforzare il proprio potere, per manifestare la propria sofferenza non riesce a trovare altra soluzione che scendere in piazza.

Il saldo controllo che il presidente esercita sul paese, unito alle forti divisioni interne tra i leader dell’opposizione locale, hanno però reso fino a questo momento vano ogni tentativo di cambiamento.

Chi è Emanuele Cassano

Ha studiato Scienze Internazionali, con specializzazione in Studi Europei. Per East Journal si occupa di Caucaso, regione a cui si dedica da anni e dove ha trascorso numerosi soggiorni di studio e ricerca. Dal 2016 collabora con la rivista Osservatorio Balcani e Caucaso.

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