Il 22 giugno 1941 ha inizio l’Operazione Barbarossa, con cui le truppe tedesche entrarono in Unione Sovietica. Fu il principio di una guerra totale. Deciso a mantenere la sovranità territoriale della Romania, conquistata con il Trattato di Versailles del 1918, Ion Antonescu si alleò con l’Asse, diventando il principale alleato esteuropeo della Germania nazista.
A ottobre 1941 cominciò la campagna di espulsione di 150.000 ebrei verso la regione della Transnistria, territorio a Est del fiume Nistro, a quel tempo sotto amministrazione romena. I legionari di Horia Sima fecero della pulizia etnica il loro principale obiettivo. Nelle regioni della Bucovina, Moldova e Bessarabia i gendarmi arrestarono e poi consegnarono 172.000 ebrei all’Einsatzgruppe, le unità operative delle SS impiegate a Est. Esse avevano il compito di operare l’annientamento di ebrei, zingari e commissari politici attraverso fucilazioni di massa e deportazioni su autocarri convertiti in camere a gas. In Bucovina, Moldova, Bessarabia, Crimea e Caucaso settentrionale era impiegata la Einsatzgruppe D.
Il 22 ottobre 1941, la Romania occupò Odessa. Fu allora che il generale Nicolae Macici, con la complicità del governatore della città Gheorghe Alexianu, diede l’ordine di massacrare 20.000 civili, la maggior parte ebrei. Il 28 ottobre, 50.000 ebrei furono deportati nei campi di concentramento di Bogdanovka e Berezovka, in Transnistria. Prima dell’occupazione romena, Odessa vedeva una fiorente comunità ebraica di circa 90.000 persone. Nel 1942 vi erano solo 703 ebrei vivi.
L’anno seguente, il 22 gennaio, la Guardia di Ferro uccise 125 ebrei a Bucarest e altri 2000 vennero reclusi in centri di tortura. Le loro proprietà furono confiscate e vandalizzate, le donne stuprate e le sinagoghe date alle fiamme. Un episodio drammatico si consumò anche a Iaşi, dove vi era una comunità ebraica ben organizzata che contava circa 45.000 persone. 15.000 di loro trovarono la morte nel progrom di Iaşi, accusati di essere spie, sabotatori e complici dei bolscevichi, altri stipati in vagoni bestiame vennero deportati in Transnistria, dove le autorità romene avevano istituito campi di lavoro e campi di sterminio. Si ricordano il campo di Berezovka, Akmechetka, Domanevka, Bogdanovka. Qui, alla fine del 1941, vi erano già 54.000 detenuti, di cui 48.000 provenienti da Odessa e 7.000 dalla Bessarabia. 5.000 di loro furono bruciati vivi nei fienili, mentre colonne di 300 e 400 persone furono abbandonate nella foresta vicina. Circa 30.000 persone vi morirono di stenti.
Secondo la Commissione per l’Olocausto in Romania, istituita nel 2003 da Elie Wiesel, Premio Nobel per la Pace nel 1986 e scrittore romeno di origine ebraica, sopravvissuto ad Auschwitz, sotto la responsabilità romena furono uccisi circa 300.000 ebrei, 11.000 Rom, la maggior parte di loro nei campi di concentramento della Transnistria.
Il 20 agosto 1944, l’Armata Rossa, forte di 90.000 soldati, avviò la grande offensiva Iaşi-Chişinau, riconquistando la Bessarabia in cinque giorni. Mentre le truppe sovietiche avanzavano in Romania, re Mihai destituì il generale Antonescu. Arrestato, il conducator fu fucilato a Bucarest il 26 maggio 1946.
Con l’entrata dell’Armata Rossa a Bucarest, la Romania intraprese il percorso del quarantennio comunista. Il Comunismo scaricò le responsabilità dell’Olocausto romeno in Transnistria sugli invasori ungheresi e tedeschi, minimizzando il ruolo della Romania nel genocidio degli ebrei. Solo negli ultimi decenni, la Romania, grazie anche al contributo di Elie Wiesel, ha iniziato a riconciliarsi con il proprio passato, nei confronti degli ebrei e dell’Olocausto.
Con la Commissione del 2003 il governo romeno ha assunto la responsabilità dell’Olocausto al di là del Nistro, ha riconosciuto il 9 ottobre come giornata della commemorazione e ha creato l’Istituto nazionale per lo studio dell’Olocausto in Romania. Passi importanti per estirpare il negazionismo, purtroppo, ancora radicato nella società politica del Paese.