La reazione di Erdogan e del governo al fallito golpe in Turchia non si è fatta attendere. Già durante la mattina del 16 luglio sono iniziate vaste epurazioni. Da principio rivolte – com’è logico che sia – contro i militari golpisti, le purghe si sono presto allargate anche a magistratura, media e le principali istituzioni di controllo e di bilanciamento dei poteri della repubblica. “L’operazione di pulizia sta continuando. Sono avvenuti circa 6.000 arresti. Il numero può aumentare”, ha annunciato il ministro della Giustizia Bozdağ tracciando un primo bilancio domenica 17. E’ un’operazione che Erdogan portava avanti da tempo, un pezzo alla volta, nella sua lotta contro lo “Stato parallelo” riconducibile all’imam Fethullah Gulen (non a caso accusato di essere il vero mandante del golpe). Così al tentato golpe – che in quanto colpo di Stato è anti-democratico per definizione – si affianca adesso una reazione durissima, che avrà bisogno di processi seri e giusti per non passare alla storia come un contro-golpe.
Le picconate al sistema della giustizia
Solo metà di questi arresti (circa 3.000) riguarda membri delle forze armate che si sono mobilitati la notte del golpe, o sono sospettati di connivenza benché non abbiano preso parte attiva. La Corte Suprema della Turchia (HSYK), l’equivalente del nostro CSM e quindi la più alta autorità del paese in ambito giudiziario, ha estromesso dalle proprie funzioni 2.745 tra giudici e procuratori nel corso di una riunione straordinaria che si è conclusa intorno alle 14 di sabato. In pratica è stato sospeso un terzo di tutti i giudici attivi nel paese. L’agenzia di stampa statale Anadolu fa sapere che nella sola Istanbul sono stati spiccati mandati d’arresto per 110 giudici e procuratori. La polizia ha anche eseguito perquisizioni nelle abitazioni di 58 magistrati.
Sotto attacco anche gli organi di garanzia della repubblica
E la reazione di Erdogan si sta spingendo ben oltre. Durante la medesima riunione, nell’HSYK c’è stata un’epurazione interna: sono stati sospesi 10 dei suoi 22 membri. Nel frattempo venivano arrestati anche membri della Corte costituzionale (Alparslan Altan e Erdal Tercan), 48 esponenti del Consiglio di Stato e 140 membri della Corte suprema d’appello, cioè istituzioni fondamentali per il bilanciamento dei poteri della repubblica.
Con quali accuse?
Tutti sono accusati di aver preso parte al golpe in qualche modo. Due i capi d’accusa, riporta sempre Anadolu. Il primo è “appartenere a un’organizzazione terroristica armata”, dove il riferimento è al movimento Hizmet dell’imam Fethullah Gulen, additato subito da Erdogan come il vero mandante del golpe. La rivalità tra Erdogan e Gulen, un tempo alleati, riempie da anni le cronache giudiziarie e politiche della Turchia. Alcuni mesi fa Hizmet è stata dichiarata dalla Turchia organizzazione terroristica al pari di Pkk e Isis. Il secondo capo d’accusa è invece relativo nello specifico al tentativo di colpo di Stato.
La scure sui media
Sotto attacco finiscono anche i media. Sarebbero stati bloccati i siti web di 12 portali d’informazione turchi (tra cui Medyascope, Gazeteport, Rotahaber, ABC, Meydan e Karşı). Sono quegli stessi media che si sono schierati in modo compatto e forte contro il golpe fin dal primo minuto. E non è l’unica amara ironia di questa vicenda. CNN-Turk, il canale che ha trasmesso il primo accorato appello di Erdogan alla popolazione durante le prime fasi del colpo di Stato ed è stato in seguito occupato e chiuso dai militari golpisti, appartiene al gruppo mediatico Dogan, che è vicino a Hizmet e Gulen.
Dopo il golpe il futuro resta incerto
È chiaro che Erdogan sta approfittando del fallimento del colpo di Stato per portare a termine la sua personale resa dei conti con quelle istituzioni che percepisce come un ostacolo alla sua azione politica. Resta infatti tutta da dimostrare la tesi ufficiale che vede in Gulen il mandante occulto del golpe: la dovranno convalidare i processi, che è auspicabile siano condotti con la massima trasparenza. Il fatto che il repulisti generale si stia allargando anche ai media, inoltre, rende lecito il sospetto che si tratti semplicemente di una nuova ondata repressiva, di dimensioni immani, che potrebbe allargarsi ancora di più nei prossimi giorni.
Non bisogna dimenticare il recente passato. Erdogan si scaglia da anni contro giornali, tv, gruppi industriali e bancari, tutti accusati di formare i ranghi di quel presunto Stato parallelo diretto da Gulen. Negli ultimi 2 anni è riuscito a smantellarne e mettere a tacere buona parte, sia con attacchi personali (si pensi al caso Can Dundar) sia con strumenti come l’amministrazione controllata. Questi attacchi sarebbero continuati anche senza colpo di Stato, non ci sono dubbi. Forse il golpe ha fatto saltare il tappo, occasione prontamente sfruttata da Erdogan. Prima del 15 luglio la Turchia non era certo un modello per il rispetto dello stato di diritto. A golpe riuscito sarebbe potuta diventare anche peggio, va ricordato. In queste ore è lecito avere dubbi che lo diventerà nel prossimo futuro.