Lo scorso 24 giugno papa Francesco si è recato in visita in Armenia, dove si è trattenuto 3 giorni per visitare i luoghi simbolici del genocidio e per far sentire la propria vicinanza ad una popolazione che attraversa una fase storica particolarmente complessa. In occasione della visita al memoriale del genocidio armeno di Yerevan ha ribadito, dopo averlo già affermato lo scorso anno alla presenza di Karekin II in Vaticano, che la persecuzione da parte dei turchi è stata e rimane un genocidio.
Il pontefice si è recato poi in un luogo particolarmente esemplificativo della situazione armena: la città di Gyumri dove il terremoto avvenuto alla fine degli anni ’80 ha sortito gli effetti più catastrofici, causando la morte di 25000 persone. La ricostruzione iniziata successivamente è proceduta a rilento a causa della fine della parabola sovietica: la città non si è più ripresa dal disastro e la popolazione attuale è inferiore alla metà rispetto a quella degli anni ’80.
Nel corso della sua visita in Armenia, Francesco ha inoltre voluto mettere sotto i riflettori la realtà particolarmente complessa del paese, dovuta ad una situazione economica fortemente compromessa. L’Armenia, a differenza di altri paesi dell’area caucasica, non detiene risorse nel sottosuolo e ha un indice di sviluppo umano tra i più bassi rispetto ai paesi appartenenti all’area post-sovietica. A ciò si aggiunge un isolamento imposto da circostanze esterne; infatti l’Armenia oggi ha due frontiere chiuse: quella turca, per le tensioni legate alla questione del genocidio, e quella azera, a causa del problema del Nagorno-Karabakh. Nell’ultimo periodo lo scenario azero è stato caratterizzato da un intensificarsi delle tensioni, e proprio nel territorio separatista del Nagorno-Karabakh sono avvenuti degli scontri che hanno portato anche all’uccisione di diversi civili.
Il papa e la riappacificazione del Caucaso
La figura di Francesco ha iniziato ad essere vista di buon occhio dal popolo armeno già un anno fa, in occasione delle parole pronunciate lo scorso anno dallo stesso Papa riguardo al genocidio. L’incontro di fine di giugno è stato perciò il coronamento del sodalizio con la chiesa apostolica armena, che sembra avere alle spalle un progetto molto più ampio di quello che si potrebbe pensare.
Papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, ha inteso dare ai suoi interventi una forte impronta informale, avulsa dalle dinamiche diplomatiche tradizionali, con istanze a favore del dialogo e della pace. Proprio sulla strada di questa missione conciliatrice si colloca il prossimo viaggio di Francesco in Georgia e Azerbaijan del prossimo settembre, durante il quale molto probabilmente il Pontefice tenterà una mediazione altamente conciliatoria tra Yerevan e Baku.
La prospettiva di un riavvicinamento tra i due paesi sembra però allontanarsi con il tempo, poiché l’Azerbaijan continua a compiere operazioni militari nel Nagorno-Karabakh con il benestare turco, contro il quale sostegno si è scagliato il Catholicos Karekin II proprio in occasione della visita pontificia.
Il papa e la chiesa ortodossa moscovita
Con i suoi viaggi nel Caucaso, papa Francesco sta tentando di ricucire i rapporti con le chiese orientali (come quella armena, con la quale si sono già avuti riscontri positivi) e ortodosse (georgiana e moscovita) della regione.
In particolare la chiesa ortodossa moscovita non ha mai nascosto la sua intenzione di diventare, con il sostegno politico del Cremlino, il riferimento per le chiese ortodosse nel Caucaso, con lo scopo di superare le divergenze interne a tutt’oggi presenti. In questa prospettiva si è ricercato anche il sostegno del papato romano, con il quale si è cercato un punto di incontro durante la visita a Cuba lo scorso febbraio. In quella sede sono stati trattati argomenti di ordine teologico e morale, nella probabile prospettiva di una convergenza su tematiche geopolitiche. Per una maggiore unità di intenti sulle questioni caucasiche, lo stesso Putin ha avuto un incontro con il Papa.
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