È appena terminata la missione pastorale di Papa Francesco in Armenia, prima tappa di un viaggio nel Caucaso che prevede anche una doppia visita del pontefice in Georgia e Azerbaigian tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre. Come molti si aspettavano, l’attenzione del Papa è ricaduta soprattutto sulla questione del genocidio armeno, che continua a far discutere a oltre un secolo dalla sua ricorrenza.
Fin dal principio il viaggio di Papa Francesco in Armenia, il 14° dall’inizio del suo pontificato, ha assunto un significato particolare, in quanto l’Armenia è stata la prima nazione al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di stato nel 301, prima ancora dell’Impero romano. A prendere questa decisione fu il re Tiridate III, convertitosi al Cristianesimo grazie a Gregorio l’Illuminatore, missionario cristiano che secondo la leggenda guarì miracolosamente il sovrano armeno da un male incurabile, nonostante quest’ultimo lo avesse imprigionato per via della sua fede.
La visita del Papa in Armenia è cominciata venerdì 24, quando Francesco è atterrato a Yerevan accolto dal presidente armeno Serzh Sargsyan e dal Patriarca supremo e Catholicos di tutti gli armeni Karekin II, con i quali ha poi avuto due colloqui separati. Nel corso del discorso tenuto nel Palazzo presidenziale di Yerevan, Francesco ha voluto subito ribadire quanto già affermato a Roma lo scorso anno, proprio in presenza di Karekin II: il massacro degli armeni è stato un genocidio. Queste parole, che un anno fa spinsero la Turchia a richiamare il proprio ambasciatore in Vaticano (salvo poi farlo tornare presto operativo senza troppi proclami), sono state accolte con uno scroscio di applausi dal pubblico presente, che non aspettava altro che il Papa si pronunciasse in tal modo sull’argomento.
La questione del genocidio è rimasta al centro dell’attenzione anche il giorno successivo, quando il Papa ha effettuato una visita al memoriale del genocidio armeno (il medz yeghern, grande male, come viene chiamato in Armenia), situato in cima al colle di Tzitzernakaberd, la “Fortezza delle Rondini”, che sovrasta Yerevan. Qui il Papa dopo aver deposto dei fiori insieme a Sargsyan e Karekin II al centro del mausoleo circolare presente all’esterno del memoriale, dove arde la “fiamma eterna”, si è fermato a pregare per le vittime del massacro del 1915, che causò circa un milione e mezzo di morti.
La visita al memoriale del genocidio armeno è poi proseguita con una passeggiata lungo il giardino che circonda la struttura, dove il Papa ha piantato un piccolo albero in memoria del suo viaggio apostolico e dove ha firmato il “Libro d’Onore”, augurandosi che “l’umanità non dimentichi e sappia vincere con il bene il male […] perché mai più vi siano tragedie come questa”. In seguito Francesco ha incontrato alcuni dei discendenti dei sopravvissuti al genocidio, salvati da Papa Benedetto XV e ospitati a Castel Gandolfo. Tra loro è stato presente anche monsignor Raphael Minassian, ordinario per gli armeni cattolici dell’Europa orientale, il cui padre, ancora bambino, nel 1919 venne aiutato a fuggire dal massacro proprio da Benedetto XV, che lo ospitò a Roma.
Francesco si è poi recato a Gyumri, seconda città dell’Armenia che ospita la più folta comunità cattolica del paese, dove il Papa ha celebrato l’unica funzione eucaristica della sua tappa armena, in una Piazza Vartanants gremita di fedeli cattolici e armeno apostolici, i quali hanno comunque accolto il pontefice come un loro pastore (si è trattato della prima messa all’aperto mai celebrata in Armenia, dove la tradizione impone di svolgere la celebrazione eucaristica all’interno delle chiese, dove vi è l’altare consacrato). In seguito il Papa ha visitato la Cattedrale armeno apostolica delle Sette Piaghe di Maria, l’unico edificio religioso di Gyumri sopravvissuto all’epoca sovietica, e la Cattedrale armeno cattolica dei Santi Martiri.
Tornati a Yerevan, Papa Francesco e Karekin II hanno attraversato a piedi Piazza della Repubblica, il cuore della capitale armena, per poi effettuare una preghiera congiunta per la pace. Nel suo discorso, il Catholicos ha condannato il negazionismo turco (Ankara riconosce le persecuzioni ai danni della popolazione armena ma rifiuta di accettare il termine “genocidio”), così come le recenti provocazioni militari dell’Azerbaigian, che ad aprile hanno causato violenti scontri nella regiona contesa del Nagorno-Karabakh. Francesco, che nel rispondere a Karekin II ha condannato ancora una volta il genocidio armeno e ha auspicato la pace nel Karabakh, ha però concluso il suo intervento ricordando che “farà bene a tutti impegnarsi per un futuro che non si lasci assorbire dalla forza ingannatrice della vendetta”, augurandosi che l’odio si trasformi in riconciliazione.
Nel suo ultimo giorno in Armenia il Papa si è recato a Echmiadzin, località situata alle porte di Yerevan considerata come una sorta di “Vaticano armeno”, in quanto vi è la sede della Chiesa apostolica locale. Qui ha incontrato i 14 vescovi cattolici armeni presso il Palazzo Apostolico, e ha poi partecipato alla messa presieduta da Karekin II nella Cattedrale madre della Chiesa armena. Nel corso della cerimonia Francesco ha parlato di “mancanza di unità tra i discepoli di Cristo”, alludendo alle divisioni tra la Chiesa cattolica e quelle ortodosse e orientali, tra cui vi è appunto quella armena; augurandosi un progressivo riavvicinamento tra le parti.
Successivamente il Papa si è recato presso il monastero di Khor Virap, situato a pochi chilometri dalla frontiera turca, luogo dove si trovava il pozzo in cui, secondo la leggenda, Gregorio l’Illuminatore venne tenuto prigioniero per anni da Tiridate III prima che quest’ultimo si convertisse al Cristianesimo. Qui Francesco ha liberato due colombe bianche in segno di pace in direzione dell’Ararat, montagna sacra per gli armeni situata però attualmente al di là del confine con la Turchia. Infine, in seguito a uno scambio di doni, il Papa e Karekin II con un ultimo gesto simbolico si sono congedati scambiandosi un abbraccio fraterno per suggellare l’amicizia tra le rispettive chiese.
Nel corso della missione pastorale di Papa Francesco in Armenia sono arrivate però puntuali critiche da parte della Turchia, sentitasi chiamare in causa dalle parole del pontefice riguardo al genocidio armeno. Secondo Nurettin Canikli, vicepremier turco, le dichiarazioni del Papa sono state “molto spiacevoli”, inoltre addirittura “nelle attività del Papa è possibile vedere tutte le caratteristiche o le riflessioni della mentalità delle Crociate”.
In risposta alle parole di Cankli è arrivata subito la replica di padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, il quale ha affermato che “il Papa non sta facendo Crociate, nessun testo e nessuna parola espressa da Papa Francesco durante il suo viaggio in Armenia ha mostrato ostilità verso la Turchia […] piuttosto i suoi discorsi sono stati infusi di inviti all’Armenia e alla Turchia di costruire ponti di pace e riconciliazione”.