L’incontro tra il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, capo della chiesa ortodossa russa, e Francesco, pontefice cattolico, il 12 febbraio scorso a Cuba, fu giustamente definito storico. Tuttavia è stata solo una tappa di un lungo cammino di riavvicinamento tra le confessioni cattolica e ortodossa che, divise da questioni teologiche, trovano una convergenza su importanti questioni geopolitiche. Non da ultima, la lotta al fondamentalismo islamico.
La chiesa ortodossa russa, braccio spirituale del Cremlino
La chiesa russa è oggi la più importante tra le chiese ortodosse sia per il numero di fedeli, circa 200 milioni, sia per la coincidenza tra la sede patriarcale, Mosca, con la capitale di uno dei paesi più importanti al mondo, la Federazione Russa. Una coincidenza rafforzatasi dopo la fine del comunismo e la rinascita religiosa russa che ha trovato una fondamentale sponda nella politica di Vladimir Putin, attento a ricostruire nel paese un’identità legata alla religione e alla conservazione dei valori tradizionali, facendo del patriarcato il braccio spirituale del Cremlino, come già in passato fecero gli zar.
L’alleanza tra trono e altare si è rafforzata notevolmente negli ultimi anni, grazie all’operato di Kirill, a capo della chiesa russa dal 2009. Il presidente Vladimir Putin lo ha apertamente lodato per l’impegno contro “la primitiva e volgare concezione della laicità” ereditata dal periodo sovietico. La chiesa è investita, nella nuova Russia putiniana, del compito di istruire i giovani ai valori tradizionali russi, di rafforzare lo spirito patriottico, di sostenere il ruolo della maternità e della famiglia tradizionale. Non solo, con l’avvento di Kirill si è assistito a una proiezione del patriarcato fuori dai confini russi, con missioni pastorali (e diplomatiche) in Azerbaijan, Armenia, Moldavia, Ucraina, Turchia e Cipro, solo per citarne alcune. Tutti paesi che coincidono con i vettori della diplomazia russa: il Caucaso, l’Ucraina, il Mar Nero e il Medio Oriente.
Sulla via di Damasco, l’avvicinamento tra Vaticano e Putin
Con la lettera, inviata a Vladimir Putin da papa Bergoglio nel 2013, in occasione del vertice dei G-20 di San Pietroburgo, la Santa Sede rompeva gli indugi indicando al Cremlino la necessità di raggiungere una pace in Siria, rivolgendo alla Russia un appello perché se ne facesse garante. A seguito di quella lettera, Putin incontrò Bergoglio portando in dono l’icona della Madonna di Vladimir, dal potente significato simbolico, poiché fu quella che Stalin fece volare su Mosca durante l’avanzata nazista. Oggi un altro nazismo unisce nella lotta Cremlino e Vaticano: quello del fondamentalismo islamico.
Un secondo incontro, nel giugno 2015, segnava un passaggio decisivo delle relazioni russo-vaticane e apriva a un possibile viaggio pastorale di Bergoglio a Mosca. L’incontro segnò una rottura dell’isolamento internazionale del Cremlino dopo l’invasione russa della Crimea. In quell’occasione Bergoglio rivolse nuovamente a Putin l’appello affinché cessassero le violenze in Siria. Pochi mesi dopo Mosca interveniva nel conflitto siriano, a fianco di Assad.
Vaticano e Cremlino concordano sulla necessità di non lasciare la Siria in mano ai fondamentalisti, i quali combattono non solo tra le fila dell’ISIS ma anche tra i cosiddetti “ribelli” alleati di Washington. Non a caso Bergoglio condannò Washington per la sua intenzione di abbattere Assad a suon di missili. E se per la Santa Sede si tratta di una guerra- a tratti “santa” – contro l’avanzata dell’islamismo e la difesa delle comunità cristiane locali, per Mosca è una più prosaica limitazione della presenza americana nel Medio Oriente.
Affinità e divergenze
La guerra in Siria non è l’unico collante tra Vaticano e Mosca: la difesa della famiglia tradizionale, che in Russia è aperta discriminazione verso gli omosessuali, è costata a entrambi le aspre critiche delle Ong internazionali. Tuttavia la politica sociale promossa da Putin – per tramite della chiesa ortodossa – è assai più affine al magistero cattolico rispetto a quelle che il Cremlino ha definito “le derive nichilistiche dell’occidente”. L’eccessiva “fiducia nella ragione”, ha dichiarato Putin, è la via su cui l’occidente troverà il naufragio: solo il ritorno a un irrazionalismo spiritualista potrà salvarlo. Un concetto che, nel 2006, papa Ratzinger espresse chiaramente: “è l’occidente il peggior nemico dell’occidente”.
La riaffermazione dello spirito contro la ragione è ciò che il Vaticano propone all’Europa come antemurale al fondamentalismo islamico: un’Europa cristiana potrà meglio difendersi dalla barbarie del jihadismo. Concetto ampiamente condiviso dalla chiesa ortodossa russa quando affermò, per bocca di Kirill, che “Putin è l’ultimo difensore dell’occidente”.
La guerra in Ucraina ha certo incrinato il nascente idillio ma non ha fermato il processo di avvicinamento, potremmo dire di “alleanza”. Un’alleanza che, per essere effettiva, passa necessariamente dalla soluzione del millenario scisma tra cattolici e ortodossi. Una soluzione che sarà di lungo periodo, ma che le gerarchie vaticane vedono come un riconoscimento del primato del papa sui patriarchi: già Kirill propose che il papa di Roma venisse riconosciuto come “primo tra i patriarchi” mentre Bergoglio ha aperto all’individuazione di una data comune per la celebrazione della Pasqua. Qualcosa si muove.
Conclusioni
L’incontro di Cuba del febbraio scorso è solo un tassello, ma la posta in gioco non è unicamente spirituale. L’avvicinamento tra papa e patriarca segna anche un passo avanti nell’alleanza, se così è lecito chiamarla, tra Vaticano e Russia. Un’alleanza che conviene a entrambi: al Vaticano, che potrebbe vedere riconosciuta la propria supremazia spirituale sul mondo ortodosso; al Cremlino, che troverebbe una fondamentale sponda per i propri interessi in politica estera.