La notizia è di quelle che fanno accapponare la pelle: a poca distanza dai confini dell’Europa orientale, un paese fuori controllo possiederebbe abbastanza materiale radioattivo per costruire una bomba atomica. Lo sostiene il giornalista del Times Roger Boyes puntando il dito contro la Transnistria, piccola repubblica di stampo sovietico non riconosciuta da nessuno stato al mondo, che da vent’anni si autoproclama indipendente dalla Moldavia.
Secondo Boyes, le voci che da sempre associano la Transnistria ai più misteriosi traffici internazionali di armi potrebbero essere fondate. La prova sarebbe arrivata il 24 agosto scorso, quando una operazione svolta sotto copertura dagli agenti della polizia moldava ha portato all’arresto di alcuni componenti di una banda di trafficanti di materiale radioattivo. Sette persone, tra cui degli ex poliziotti, custodivano in un garage 1,8 chili di uranio-238, sostanza adatta alla costruzione di armi di distruzione di massa. Nove milioni di euro il valore della sostanza sul mercato clandestino, dove puntano a rifornirsi i gruppi terroristici di mezzo mondo.
Il giornalista del Times non ha dubbi sulla provenienza di quell’uranio: la Transnistria, il supermarket delle armi atomiche.
Sono anni ormai che le attività di questo pseudo-Stato rappresentano un inquietante punto interrogativo per le organizzazioni internazionali. Più volte infatti l’Interpol e i servizi di sicurezza occidentali hanno accusato alcune aziende transnistriane di fornire una copertura per i traffici illeciti di armi.
Già, le armi, l’unica merce che in Transnistria, già sede di uno dei più importanti arsenali militari dell’Unione Sovietica, non è mai mancata. Roger Boyes non li nomina mai, ma il sequestro di uranio fa tornare subito alla mente le batterie di razzi Alazan con testate ad isotopi radioattivi, scoperti in Transnistria proprio dal Times nel 2005.
Questo tipo di missile, lungo circa un metro e mezzo, è stato progettato durante la guerra fredda per spargere prodotti chimici nell’aria al fine di evitare le grandinate. Ma dopo il crollo dell’Urss, gli Alazan sono stati riconvertiti in armi vere e proprie. Degli imprecisissimi proiettili imbottiti di materiale radioattivo, capaci di disperdere nell’arco di dieci chilometri sostanze come il cesio-137 e l’uranio-238.
Il ricorso a questo “metallo del disonore” per scopi bellici è infatti più diffuso di quanto non si creda. Per la prima volta è stato utilizzato durante la Guerra del Golfo, e nel 1999 lo stesso uranio-238 è servito alle truppe della NATO per abbattere il regime di Milosevic in Serbia.
La preoccupazione della comunità internazionale per la sorte dei razzi conservati nella ancora troppo ideologizzata Transnistria ha fatto sì che cinque anni fa se ne interessassero persino gli Stati Uniti. In un posto però dove le mappe sono spesso mute o incomplete per preservare la segretezza sui siti di interesse militare, ci sono voluti i sofisticati satelliti del Pentagono per monitorare costantemente la posizione dei missili. Fino al 2009, quando si è scoperto che ce n’erano dieci in meno…
È lecito quindi domandarsi se i due chili scarsi di uranio scoperti in quel garage in Moldavia siano stati ricavati dallo smantellamento delle testate dei dieci razzi Alazan scomparsi nel nulla. Se così fosse avremmo la certezza che dell’altro materiale radioattivo potrebbe essere contrabbandato nei prossimi mesi con il rischio concreto che possa finire in mani sbagliate.
Una prospettiva agghiacciante che rende il perdurare dell’esistenza di fatto della Transnistria una gran brutta gatta da pelare. Un problema che l’Europa non può continuare ad ignorare.
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