Khadija è tornata. A poche settimane dalla sua scarcerazione, avvenuta lo scorso 25 maggio, l’attivista azera Khadija Ismayilova ha ripreso la parola con un’inchiesta sui benefici che la famiglia del presidente della Repubblica dell’Azerbaigian Ilham Aliyev ed i suoi hanno tratto dalla svalutazione della moneta azera dello scorso anno.
La giornalista investigativa di Radio Free Europe era stata arrestata nel dicembre 2014, apparentemente per reati di appropriazione indebita, frode fiscale e traffici illeciti (per citarne solo alcuni), e stava scontando una pena di sette anni e mezzo a Baku. Il caso ha ottenuto una rilevanza globale, proprio perché ritenuto l’ennesima repressione governativa verso giornalisti, blogger, politici e attivisti dei diritti umani che si oppongono alla linea tracciata dal regime: la vera motivazione dell’arresto di Khadija, diventata il simbolo della mancanza di libertà in Azerbaigian, risiede in una serie di inchieste su corruzione e abusi di diritti umani nel suo paese. Nello specifico, Khadija aveva scoperto irregolarità in alcuni progetti di costruzioni e privatizzazioni che vedevano coinvolti diversi membri della famiglia presidenziale, oltre che i legami che coinvolgevano gli stessi negli affari di compagnie off-shores.
Adesso, dopo che il mondo le ha dato ragione (le sue scoperte sono emerse anche dai Panama Papers) ed il suo governo le ha concesso la libertà vigilata, Khadija è pronta a continuare il suo lavoro.
La sua nuova inchiesta, curata insieme a Dave Bloss e Miranda Patrucic per OCCRP Azerbaijan (Organized Crime and Corruption Reporting Project) e pubblicata il 6 giugno, indaga su transazioni finanziarie effettuate da persone vicine al Presidente alcuni giorni prima della svalutazione della moneta del 2015.
Dopo mesi di interventi da parte della Banca Centrale, nel febbraio 2015 il manat ha subito una prima svalutazione di un terzo dal dollaro USA.
Solo pochi giorni prima, le persone in questione avevano messo al riparo le proprie banche e compagnie, oltre che guadagnato ulteriori fortune. Una strana tempistica, no?
Al centro dell’inchiesta ci sono tre banche: Caspian Development Bank, Atabank e Pasha Bank, tutte di proprietà della famiglia Aliyev o del loro business partner Ashraf Kamilov, proprietario inoltre di Synergy Group, una holding che comprende banche, hotel e aziende, nonché vice presidente di AtaHolding, una delle più grandi holding azere possedute dagli Aliyev e citata nei Panama Papers.
La Caspian Development Bank, acquisita e ricapitalizzata dal gruppo Synergy, avrebbe concesso un prestito milionario a SOCAR, compagnia petrolifera nazionale, solo tre settimane prima della svalutazione, permettendo alla banca di triplicare i guadagni del prestito e ottenere 5.1 milioni di dollari.
AtaBank avrebbe invece ottenuto, due giorni prima della svalutazione, il pagamento in manat di un prestito concesso ad una campagnia del gruppo Synergy l’anno prima. Curiosamente, la stessa compagnia ha immediatamente ottenuto un altro prestito molto più importante in dollari. Ne è risultato un guadagno di 20 milioni di manat per la compagnia, e di 61 milioni per la banca.
Su Pasha Bank, altra banca posseduta dagli Aliyev, le notizie sono più difficili da reperire, ma si tratta sempre di benefici ottenuti tramite cambio valuta, a pochissimi giorni da quel 21 febbraio.
Le tre sono accusate di aver violato la regolamentazione azera sulle banche: sovraesposizione nei prestiti, aggravata dal coinvolgimento di aziende legate a personalità che ricoprono ruoli attivi nella banca stessa, alle quali violazioni non è però corrisposta nessuna pena. Anzi, le compagnie in questione avrebbero successivamente cambiato il proprio status in limited liability company – società a responsabilità limitate, per liberarsi dall’obbligo di stilare dei report aperti al pubblico; il governo, invece, ha addirittura creato il Financial Market Supervisory Board, un organo finalizzato a depenalizzare le violazioni alla Banca Centrale, per altro presieduto dall’ex supervisore della Caspian Development Bank.
Mentre le élite azere beneficiavano della crisi, la situazione economica del paese peggiorava drasticamente: tasso di interesse da fisso a variabile, moneta sganciata dal dollaro nel dicembre 2015, e un’inflazione che ad oggi si aggira intorno al 10%. Il manat ha perso circa metà del suo valore, con gravi conseguenze per gli azeri, che hanno perso il 50% del loro potere d’acquisto, e numerose altre banche.
Quello che emerge dall’inchiesta non è niente di nuovo, insomma.
Il sistema non è cambiato: un circolo vizioso affligge un paese diventato un colosso grazie a gas e petrolio, ma anche un tiranno per la società civile, che nell’ultimo anno ha perso tutto, tornando a farsi sentire ma anche ad essere repressa.
Fortunatamente, però, neanche il coraggio degli attivisti è cambiato, e Khadija, da sempre portavoce dei diritti umani negati in Azerbaigian, ne è la dimostrazione.
Questo articolo é frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Associaiton . Le analisi dell’autore sono pubblicate anche su PECOB, Università di Bologna.