Negli ultimi 30 anni del secolo XIX, sotto l’Impero Ottomano, gli abitanti della provincia armena subirono continue rappresaglie da parte della popolazione con il tacito consenso delle autorità. L’interferenza russa nell’area in nome della solidarietà religiosa tra ortodossi diede il via dal 1890 ad un’escalation di violenze che culminarono tra il 1915 e il 1922 in una serie di deportazioni della popolazione armena in campi di prigionia, nei quali si consumò un massacro che si configura come il primo genocidio del secolo XX. In quei luoghi, nel deserto della Siria, perirono tra la fame e gli stenti un numero di civili che, secondo le stime più riduttive, varia da 600.000 a 1.000.000 di persone.
Non va neppure dimenticata la diaspora verso i paesi mediorientali, l’America e l’Europa, in particolare verso la Germania e la Francia. Solo a seguito dello scioglimento dell’Impero Ottomano e della creazione dell’URSS, l’Armenia ottenne un proprio spazio geografico e un’autonomia formale dal 1936.
Gli sviluppi
Nel corso dell’ultimo secolo il genocidio è stato riconosciuto da 27 paesi e, già durante gli anni nei quali i fatti si stavano consumando, in Germania si andava sviluppando una coscienza collettiva su quanto era in corso in Medio Oriente per mano di quello che, durante la prima guerra mondiale, era stato un alleato tedesco.
Nel 1921 a Berlino iniziò il processo a Soghomon Tehlirian, un ragazzo armeno che aveva sparato a uno dei leader dei Giovani Turchi, Talaat Pascià, provocandone la morte. Quel ragazzo aveva visto con i propri occhi il dramma che si stava consumando nella sua madrepatria e non aveva esitato, in sede processuale, a rendere partecipe degli avvenimenti sia la corte sia coloro che assistevano al processo. Il procedimento si concluse con l’assoluzione di Tehlirian, ma già in quella sede emersero le responsabilità e le indifferenze delle truppe tedesche d’istanza nei territori del Caucaso.
La situazione attuale
Il 2 giugno 2016 è arrivato il riconoscimento del genocidio armeno da parte del Bundestag tedesco e contemporaneamente sono state attribuite le ammesse responsabilità delle truppe che la Germania aveva stanziato nelle medesime aree in qualità di alleato dell’Impero Turco-Ottomano.
In risposta Ankara ha richiamato l’Ambasciatore a Berlino, e il ministro della Giustizia Bekir Bozdag è arrivato a chiedersi come chi “ha bruciato gli ebrei nei forni” possa poi arrogarsi il diritto di “accusare il popolo turco con calunnie di genocidio”.
Per la Turchia questo mancato riconoscimento è storicamente un motivo di tensione con altre nazioni, oltre che un ostacolo per l’integrazione all’Unione Europea, ma allo stesso tempo un deterrente. Infatti sono spesso le minacce turche a mantenere vivi i rapporti transnazionali con molti Paesi, soprattutto nell’Europa dell’est; per questo in molti non hanno ancora preso le parti dell’Armenia.
Angela Merkel, dopo una lunga fase di rapporti bilaterali non disinteressati, ma resi necessari dalla presenza di circa 3 milioni di turchi in Germania, ha manifestato un forte interesse per la questione dell’ingresso di Ankara nell’Unione Europea.
Perché un improvviso interesse in tal senso? Probabilmente nella prospettiva di farsi promotrice dell’accordo sui migranti dello scorso marzo. Perché una tale virata dopo il precedente avvicinamento? Forse per distaccarsi da quell’immagine filo-turca attribuita dall’Europa e, nel contempo, dare un segnale al presidente turco riguardo la sua percezione di indispensabilità nella risoluzione della “questione migranti”.
Le prospettive
La decisione del parlamento tedesco sembra arrivare in maniera non casuale: dopo che l’accordo sui migranti è stato portato a termine con le resistenze di molti paesi dell’Unione, probabilmente a Berlino sta maturando la consapevolezza della necessità di un riavvicinamento a Bruxelles.
Le distanze con Ankara sembrano sempre più incolmabili: le trattative, che già procedevano a rilento, potrebbero subire un brusco arresto per il ruolo rilevante che avrebbe condotto la Germania.
Il contraccolpo rischia anche di ripercuotersi sull’unificazione di Cipro che si sarebbe potuta concludere già entro la fine del 2016.
FOTO: Reuters