di Matteo Zola
L’8 maggio scorso in Albania si sono tenute le elezioni amministrative, le prime dopo quella “rivoluzione” che rivoluzione non fu ma che vide la morte di alcuni manifestanti dell’opposizione, guidata da Edi Rama, uccisi dalle pallottole della guardia presidenziale. Per qualche giorno gli occhi del mondo si concentrarono sul Paese delle due aquile ma i giornalisti, non sapendo che altri pesci prendere, cominciarono a parlare di “guerra civile“, di “rivoluzione” contro Berisha, dipingendo Edi Rama come un salvatore della patria e campione della democrazia. Poi si accorsero che Rama e Berisha erano due facce della stessa medaglia, che i morti erano strumento per retoriche politiche, che nulla sarebbe cambiato. E se ne sono andati.
Berisha e Rama sono rimasti, invece, a sfidarsi alle elezioni. Solo il 50,9% degli aventi diritto si è recato alle urne, senza che si verificassero incidenti di rilievo. A Tirana, dove sindaco è lo stesso Edi Rama, solo il 38,1% ha votato. Già questo è un dato che parla chairo del fallimento della democrazia in Albania ma che, letto con più attenzione, può significare quanto questa “democrazia apparente” abbia stancato gli elettori. Le elezioni, da sole, non fanno la democrazia. Lo spoglio per Tirana, dove Lulzim Basha sfidava l’uscente Rama, è durato quasi una settimana. A vincere è stato poi il sindaco uscente. Ma per soli 10 voti.
In generale il partito socialista, all’opposizione, oltre alla poltrona di sindaco di Tirana, ha conquistato la gran parte delle aree urbane (come tradizione) espugnando alcune roccaforti del nord ma non Scutari, che resta in mano al partito democratico di Berisha. A voler fare un’analisi compiuta del voto albanese, si potrebbe affermare che la sinistra è uscita vincente dalle urne, e nel farlo si dovrebbe procedere con una serie di riflessioni sulle percentuali, le tendenze del voto, la cause del successo o dell’insuccesso. Il fatto è che in Albania un’analisi simile è inutile. Entrambe le parti politiche, quella socialista di Rama e quella democratica di Berisha, sono rappresentanti di una stessa crisi morale che trova nella violenza pubblica e nella monopolizzazione del potere e della ricchezza il suo sintomo più evidente. A queste manifestazioni “esterne” si accompagnano la dis-educazione dei più giovani, i cui modelli sono appunto quelli della soverchieria che la politica incarna, il fallimento dell’istruzione, della cultura, dell’università.
Chiunque governi nei prossimi quattro anni in questa o quella città, non fa differenza se la differenza la fanno dieci voti. Non a caso l’Ocse ha parlato di elezioni “trasparenti” ma che “hanno avuto luogo in un ambiente fortemente polarizzato in cui i partiti di maggioranza e opposizione hanno un rapporto di assoluta sfiducia e hanno agito irresponsabilmente“. Una diserzione dalle urne con punte del 70% può, forse, leggersi non come il trionfo del dismpegno ma di quell’indifferenza che, motivata dalla sfiducia, fa la differenza tra un Paese maturo e uno da operetta.
Per quanto riguarda la percentuale dei votanti vorrei ed è importante dirvi che almeno 30% dei albanesi vivono e sono residenti al estero , in emigrazione, quindi quando si parla di una affluenza di 40%-50% vorrei dire che, se la matematica non e una opinione,questa è una affluenza molto alta !