STORIA: La russificazione della Lettonia durante l’era sovietica

Un articolo del 1963 pubblicato da Brīvība, quotidiano della diaspora lettone, descrive la russificazione della Lettonia e l’industrializzazione forzata del paese durante il periodo sovietico. Una traduzione a cura di Paolo Pantaleo. Tratto da Brīvība, Nr.2 (01.02.1963)

Simtgade bitL’infiltrazione russa durante l’occupazione sovietica ha ridotto il numero dei lettoni in Lettonia: al posto dei 1.475.000 precedenti all’occupazione, adesso ne risultano solo 1.298.000 in base ai dati del censimento del 1959. Nel periodo dell’indipendenza i lettoni nel proprio paese erano il 75% della popolazione totale, ora sono solo il 62%. Sono arrivati in Lettonia russi e cittadini di altre nazionalità in grande numero, e questo flusso continua tuttora. Fino al 1959 sono entrati in Lettonia 388.000 non lettoni, che rappresentano il 38% della popolazione complessiva. Nella grande maggioranza sono russi, la cui percentuale è salita dal 10% del periodo dell’indipendenza al 26,6% di adesso. Inoltre dopo la guerra la Lettonia è stata privata della città di Abrene e di sei distretti ai confini con la Russia, dove la maggioranza degli abitanti era russa (38.000).

La maggior parte dei russi in Lettonia è rappresentata da alti e medi funzionari pubblici, ma ci sono anche tanti lavoratori, che sono arrivati come forza lavoro del settore industriale lettone ampliato in questi anni. L’industrializzazione della Lettonia proseguirà ancora, e con essa anche l’afflusso di lavoratori dalla Russia. La riduzione del numero dei lettoni in Lettonia poi è causato anche dai trasferimenti “volontari” di lettoni verso le terre bonificate in Kazahstan, dove una parte di loro viene assimilata e rimane. La maggior parte dei lettoni con istruzione universitaria è stata spedita a lavorare per tre anni in Siberia e Kazahstan, anche di loro una buona parte non farà più ritorno.

Dal 1959 una legge ha eliminato l’obbligatorietà delle scuole in lingua lettone e ha definito la possibilità per i genitori di scegliere se mandare i propri figli a scuola in lingua lettone o in lingua russa. Nelle 10 università lettoni (compresi gli istituti pedagogici) su 25.000 studenti solo 10.400 erano lettoni. Neanche il ritorno in patria dei circa 60 mila vecchi lettoni di Russia può alleggerire questo afflusso. Nel loro numero ci sono molti parenti delle vittime fucilate durante i sanguinosi anni ’30 del terrore stalinista. Centomila lettoni vivono ancora nelle repubbliche russe, si tratta dei profughi dei tempi delle guerre zariste e dei deportati, che si sono ormai sistemati a vivere in terra straniera. Anche loro gradualmente si sono assimilati.

Il 22° congresso del partito ha varato un programma che intensifica ancora la russificazione, ponendosi come obiettivo la distruzione di ogni specificità, tradizione, cultura e lingua delle varie nazionalità, attraverso la loro sostituzione graduale con la lingua russa, come lingua del mondo comunista. Il risultato è che la Lettonia progressivamente sta perdendo il suo volto nazionale. Se la denazionalizzazione continuerà su questi ritmi, fra venti anni i lettoni saranno diventati una minoranza nella loro stessa terra.

Trasformazioni sociali

L’industrializzazione della Lettonia viaggia velocemente, la produzione industriale dal 1940 al 1961 è cresciuta di dodici volte. Al primo posto per occupazioni ci sono i settori della produzione di macchine e le acciaierie, al secondo posto le fabbriche di alimentari e prodotti più semplici, seguite dalle industrie di trasformazione del legname. La più grande fabbrica della Lettonia è la VEF con oltre 12.000 lavoratori e funzionari. I due terzi delle industrie lettoni sono concentrate a Riga. Insieme all’industrializzazione forzata prosegue di pari passo anche l’urbanizzazione del territorio. Il 56% degli abitanti adesso vive in città, e la popolazione di Riga nel 1962 ha superato i 620.000 abitanti. La Lettonia è già adesso la repubblica più urbanizzata di tutta l’Unione Sovietica.

3L’industrializzazione passa attraverso i bassi salari corrisposti ai lavoratori lettoni e all’aumento dei prezzi al consumo: nel 1962 il prezzo di prodotti come la carne e il burro è aumentato del 30%. Il salario minimo nel 1962 era di 35-40 rubli al mese, i lavoratori qualificati arrivavano intorno ai 70-80 rubli, lo stesso stipendio della gran massa dei funzionari di basso livello. Nella Lettonia occupata non esiste alcune democrazia delle fabbriche. I rappresentanti dei lavoratori non hanno alcun potere decisionale nelle aziende, in cui comanda soltanto il direttore, che a sua volta è controllato dal comitato di partito dell’azienda. La cosiddetta “conferenza permanente di produzione”, presente in ogni fabbrica, può solo fornire pareri al direttore, che di fatto restano solo sulla carta. Nei sindacati lettoni sono iscritti al 1963 768.000 lavoratori, in pratica tutti gli operai, gli impiegati e i funzionari. I direttori di fabbrica e gli operai fanno parte dello stesso sindacato, anche se nei comitati interni delle fabbriche gli operai hanno una rappresentanza di minoranza, solo il 32%.

Il peso del sindacato è minimo, dato che non può discutere di salari e chiedere aumenti (gli stipendi sono stabiliti dalle istituzioni), non esiste il diritto di sciopero. Lo statuto del 1958 sui diritti del comitato del sindacato di fabbrica prevede che i lavoratori non possono essere licenziati senza il consenso del comitato e che lo straordinario deve essere autorizzato dal comitato di fabbrica, ma in pratica queste norme sono spesso ignorate dai direttori, e il comitato di fabbrica non osa rivendicare i propri diritti. Le condizioni sanitarie in molte fabbriche sono pessime, le leggi per la protezione dei lavoratori sono spesso violate e questo causa molti incidenti.

La popolazione delle campagne lettoni, dove adesso sono presenti 928 kolhoz e 162 sovhoz vive in condizioni ancora più difficili dei lavoratori in città. I redditi sono più bassi che in città e di fatto i lavoratori dei kolhoz devono cavarsela con quanto riescono a coltivare nell’orto di fronte a casa, circa mezzo ettaro. La produzione agricola non ha ancora raggiunto i livelli dell’ultimo anno dell’indipendenza, il 1939. A quel tempo erano 2.043.000 gli ettari di terra coltivata, nel 1961 solo 1.596.000 ettari, i campi coltivati a cereali nel 1939 erano 1.102.000 ettari, adesso 634.000. Le mucche nella Lettonia del 1939 erano 890.000, nel 1961 solo 568.000, le pecore sono passate da 1.102.000 a 459.000. Solo il numero dei maiali è cresciuto da 890.000 a 1.051.000. Circa mezzo milione di ettari di terreno non è più usato per la coltivazione. Nonostante tutti i piani, le decisioni del comitato centrale e gli ordini di Chruščov, l’agricoltura lettone si trova ancora in condizioni di arretratezza rispetto agli anni dell’indipendenza.

I contadini lavorano malvolentieri nel kolhoz, perché sono mal pagati, e cercano per quanto possibile di scansare quelle occupazioni. Ogni kolhoz ha circa dieci funzionari e specialisti, che riscuotono stipendi buoni. Poi in ogni kolhoz sono occupati circa 20 trattoristi, autisti e tecnici. La maggior parte dei contadini vive ancora nelle proprie case e la costruzione di villaggi per i russi non ha avuto per ora successo. I kolhoz gradualmente si stanno ingrandendo, perché adesso un kolhoz in Lettonia raggruppa già 180 case di contadini.

In Lettonia nel 1961 si sono contati 228.000 pensionati, che per la maggior parte prendono 30 rubli di pensione al mese, con cui fanno davvero fatica ad andare avanti. Anche se in Lettonia negli ultimi 15 anni sono stati costruiti appartamenti per 42 milioni di metri quadri, a causa dell’enorme immigrazione di russi, la crisi delle abitazioni è straordinariamente grave.

Come in tutto il resto dell’Unione Sovietica, anche nella Lettonia occupata si sono formati gruppi sociali ben distinti: quelli che hanno stipendi alti e i funzionari pubblici, che superano i 300 rubli, e la classe di mezzo, di cui fa parte l’intellighenzia accademica, con stipendi dai 100 ai 300 rubli. La Lettonia occupata non è socialista: ci sono nuove classi, non esiste uguaglianza sociale, non sono consentiti sindacati liberi, lavoratori, operai e contadini sono costretti a sopportare un livello di vita molto basso. Brīvība, Nr.2 (01.02.1963)

Chi è Paolo Pantaleo

Giornalista e traduttore, Firenze-Riga. Jau rīt es aiziešu vārdos kā mežā iet mežabrāļi

Leggi anche

Quando il calcio univa oltre i confini: la storia della Balkan Cup

Nell'estate 1994 andava in scena l'ultima gara della Balkan Cup. Una competizione iconica dedicata alle squadre nazionali e di club della penisola balcanica. Oggi, trent'anni dopo, quelle stesse squadre rappresentano quasi la metà esatta delle nazionali qualificate alla fase finale degli europei. Intanto è stata lanciata una petizione online per rifondare questo torneo dal fascino unico.

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com