“Tornerò a casa, da viva o da morta”. Sono state queste le parole pronunciate da Nadiya Savchenko durante l’ultima fase di un processo dai forti connotati politici. Condannata a 22 anni di reclusione dal tribunale russo di Rostov sul Don lo scorso marzo, la Savchenko è tornata a Kiev nella giornata di ieri in cambio di due militari russi, agenti del cosiddetto “Direttorato principale per l’informazione” (GRU – servizi d’informazioni delle forze armate russe) catturati lo scorso maggio nei pressi di Schastye a nord di Lugansk. Divenuta simbolo per molti ucraini della guerra nel Donbass e della contrapposizione sul piano politico tra Ucraina e Russia, la pilota dell’aviazione aveva partecipato attivamente alle proteste di Maidan per poi unirsi in qualità di istruttrice militare durante le prime fasi del conflitto nell’est del paese al battaglione dei volontari “Aidar”. Proprio la sua vicinanza al gruppo paramilitare dai chiari connotati di estrema destra aveva dato forza, nella retorica del Cremlino, alle accuse mosse nei suoi confronti. La Savchenko, infatti, fu catturata nell’estate del 2014, durante i mesi degli scontri più duri tra la guardia nazionale ucraina ed i ribelli sostenuti da Mosca. Condotta clandestinamente in Russia fu poi accusata di aver attivamente partecipato alla localizzazione e uccisione di due giornalisti russi (Anton Voloshin e Igor Kornelyuk) colpiti a morte da un colpo di mortaio non lontano da Lugansk.
Nei due anni di detenzione in Russia la Savchenko si è sempre dichiarata un prigioniero politico, ricorrendo allo sciopero della fame e della sete e denunciando l’illegalità della sua cattura oltre che l’illegittimità della corte di Rostov. Lungi dall’essere una vera eroina, Nadiya Savchenko è divenuta però uno dei più vivi simboli della guerra diplomatica tra Mosca e Kiev e del suo uso strumentale per fini politici. Da una parte eletta come parlamentare e nominata “eroe nazionale” sotto gli hashtag #SaveOurGirl e #FreeSavchenko, dall’altra demonizzata, dipinta come “una macchina da guerra in gonna” o come “la figlia di Satana”, la Savchenko ha rappresento in questi ultimi due anni anche il simbolo della guerra mediatica che insieme a quella militare e diplomatica si sta combattendo lungo i confini tra Ucraina e Russia.
L’accordo per lo scambio dei prigionieri di primo livello come Nadiya Savchenko e gli agenti russi Alexander Alexandrov e Yevgeny Yerofeyev (quest’ultimi condannati di recente a 14 anni di reclusione per terrorismo dal tribunale di Kiev), negoziato sottotraccia per diversi mesi, non arriva completamente a sorpresa. Pochi giorni fa, ad esempio, i rappresentanti di Ucraina, Russia, Germania e Francia avevano tenuto un nuovo incontro (telefonico) nell’ormai famoso “formato Normandia” per discutere della costante fragilità degli accordi di Minsk e promettendo sviluppi politici significativi. Ma un simbolico passo avanti nelle relazioni tra Kiev e Mosca è probabilmente utile anche in vista dei prossimi appuntamenti internazionali. Tra poche settimane, infatti, i membri dell’Unione Europea dovranno decidere se e in che misura prolungare le sanzioni nei confronti di Mosca. Il lieto fine del caso Savchenko difficilmente comporterà una netta revisione della politica europea nei confronti della Russia, ma potrebbe aprire qualche nuovo spiraglio per le manovre politiche del Cremlino.
Il ritorno dell’eroina nazionale, però, ha anche un importante significato a Kiev. Il rilascio della Savchenko, infatti, è un significativo successo diplomatico di Poroshenko. Questo successo potrebbe risultare politicamente vitale in mezzo alla crescente sfiducia popolare nei confronti del presidente, infiammata ulteriormente dal recente scandalo dei Panama Papers. Sebbene difficilmente nelle prossime settimane vedremo il “ritorno sotto la sovranità ucraina del Donbass e della Crimea”, come annunciato da un festante Poroshenko durante il suo primo incontro con la pilota liberata, il recente scambio di importanti prigionieri potrebbe rappresentare un primo, seppur piccolo, passo verso la stabilizzazione politica del conflitto in Ucraina.