Alexander Van Der Bellen è il nuovo presidente della repubblica austriaca. Il candidato indipendente ha battuto sul filo del rasoio Norbert Hofer, candidato dell’estrema destra del partito FPÖ. Solo 30.000 voti, arrivati per posta e conteggiati nel pomeriggio di lunedì, hanno permesso di evitare all’Austria una figuraccia mondiale, e la profanazione del palazzo dell’Hofburg che fu degli Asburgo. E anche il resto d’Europa tira un sospiro di sollievo.
Settantadue anni, ecologista, professore di economia all’Università di Vienna, Van Der Bellen non ha un cognome propriamente austriaco. Il nuovo capo di stato a Vienna è figlio e nipote di rifugiati politici. La sua famiglia, di lontana origine olandese, si era stabilita nella Russia zarista, dove il nonno omonimo fu governatore liberale di Pskov, cent’anni fa. Da lì dovettero fuggire dai bolscevichi nel 1919, rifugiandosi in Estonia, e di nuovo dall’Armata Rossa nel 1940, quando questa invase i paesi baltici a seguito del patto tra Hitler e Stalin. Dall’Estonia, paese natale di sua madre, i Van Der Bellen si spostarono in un campo profughi in Prussia orientale, quindi a Vienna – dove nacque Alexander nel 1944 – e infine in Tirolo. Non stupisce perciò l’europeismo e l’apertura ai rifugiati assunte in questi mesi da Van Der Bellen, anche in contrapposizione ad un governo che chiudeva la rotta balcanica e parlava di muri al Brennero. Posizioni che ne hanno fatto in qualche maniera l’antagonista naturale dello xenofobo Hofer. E che allo stesso tempo ha saputo combatterlo sul suo stesso terreno, proponendo una visione diversa e inclusiva di quella Heimat austriaca che gli haideriani vorrebbero sprangata al diverso. Non sono mancati contro di lui gli insulti antisemiti, con le scritte Baltischer jud (ebreo del Baltico) graffitate a pennarello sui manifesti di Van Der Bellen.
Una battaglia all’ultimo voto tra due personaggi agli antipodi, il verde e il nero, dopo che il primo turno, un mese fa, aveva visto il tracollo dei candidati dei partiti della grande coalizione di governo, socialdemocratici e democristiani, fermi all’11% ciascuno. Il cancelliere Werner Faymann ne aveva tratto le conseguenze e si era dimesso nelle settimane successive, lasciando il posto a Christian Kern. Hofer partiva in vantaggio, con il 35% del primo turno. I partiti moderati si erano comunque rifiutati di dare indicazione di voto per il suo antagonista Van Der Bellen, sostenuto ufficialmente solo dai Verdi, che lo seguiva col 21%. Allo scrutinio dei voti di domenica, dopo che gli exit poll avevano indicato uno sbalorditivo 50/50, Hofer otteneva il 51,9% dei suffragi, con un vantaggio di circa 144.000 preferenze. Ma mancavano ancora i voti per posta: quasi 900.000 schede, il 15%, inviate dagli austriaci all’estero e da chiunque si trovasse nel resto del paese al di fuori della propria residenza abituale. Lo scrutinio del voto postale, lunedì pomeriggio, ha ribaltato i conti e concesso a Van Der Bellen una vittoria di misura, con il 50,3% su quasi 4 milioni e mezzo di votanti, il 72% degli aventi diritto. L’analisi dei flussi elettorali mostra come, pur in mancanza di un endorsement esplicito, Van Der Bellen sia riuscito a catalizzare su di sè la seconda preferenza di sostenitori ben diversi, ma anche come Hofer sia comunque riuscito ad attrarre il voto della metà degli elettori democristiani e persino di una fetta di (ex?) sociademocratici.
Il voto ha spaccato l’Austria, e non solo per il carattere antitetico dei due contendenti e delle loro politiche. L’elezione ha portato alla luce tutte le fratture della società austriaca. Hanno votato per Van Der Bellen tutte le maggiori città del paese, oltre alle sue regioni alpine d’origine, Tirolo e Vorarlberg, mentre Hofer ha fatto il pieno nelle campagne. Allo stesso tempo, hanno votato per Hofer la maggior parte dei lavoratori, mentre Van Der Bellen ha vinto tra studenti e pensionati. Quest’ultimo ha anche ottenuto le preferenze della grande maggioranza delle donne e di chi ha un titolo di studio superiore, mentre il candidato dell’estrema destra è stato il preferito dagli uomini e da chi ha un titolo di studio medio-basso.
Tutte linee di cesura che Van Der Bellen – “Öbama“, come scherzano a Vienna – dovrà cercare di trasformare in punti di sutura. Ne ha parlato anche nel suo discorso augurale: “Ho appreso nella mia infanzia che si può essere molto diversi e al tempo stesso vivere insieme. Cercherò di guadagnarmi la fiducia degli elettori di Norbert Hofer, perché le buone soluzioni vanno trovate insieme. Tanti hanno parlato di linee di separazione in questo paese tra alto e basso, giovani e vecchi… ma si può anche dire che siamo la stessa cosa, siamo due metà altrettanto importanti.” E sull’acceso dibattito che ha accompagnato la sua elezione ha commentato “non è stata soltato polarizzazione ma anche politicizzazione, ed è un buon segno”.
Come East Journal scriveva già un mese fa, le elezioni 2016 faranno da spartiacque per la storia politica dell’Austria e non solo. Il duopolio consociativo tra socialdemocratici SPÖ e democristiani ÖVP, sempre più a rischio dopo l’ascesa dell’estrema destra haideriana negli anni ’90 e 2000, pare arrivato al capolinea. Anziché sul compromesso tra capitale e lavoro, il futuro dell’Austria – così come quello dell’Europa intera – si definisce sempre più intorno ad una spaccatura profonda nella società tra i fautori dell’apertura e quelli della chiusura, esemplificata dalla questione immigrazione. La sfida tra il politico xenofobo e l’economista-ecologista figlio di rifugiati sembravano incarnarla alla parfezione. E per una volta c’è pure il lieto fine.