Il caso della settimana, almeno per i Paesi dell’Europa centrale, sono state le parole di Bill Clinton, che, nel corso della campagna elettorale della moglie Hilary ha fatto accapponare la pelle a Polonia e Ungheria asserendo che i rispettivi governi puntano a dittature sullo stampo di quella di Putin.
L’ex presidente stava parlando davanti a una folla di elettori a Paterson, nel New Jersey, quando ha punto nel vivo le due repubbliche aggiungendo che queste non avrebbero intrapreso da sole la strada della democrazia se non fosse stato “per gli Stati Uniti e la vittoria della Guerra Fredda”. Clinton ha proseguito dichiarando che i due Paesi “hanno adesso deciso che questa democrazia crea troppi problemi” e sviluppato un autoritarismo solo perché l’influenza statunitense sulle politiche interne di queste nazioni è svanita in questi decenni.
Immediate le reazioni, con l’ex primo ministro polacco Kaczynski pronto a suggerire un controllo della salute mentale all’omologo americano. “Se qualcuno afferma che non c’è democrazia in Polonia deve trovarsi in uno stato che necessita di essere esaminato a livello sanitario” ha detto alla stampa, aggiungendo “Posso dire solo una cosa, che i media hanno scatenato una situazione di gigantesca incomprensione. Forse questo ha colpito la coscienza dell’ex presidente USA”.
Orbán si è unito alla reazione del politico del Paese amico. Nella sua intervista settimanale alla radio di stato ha spiegato che Polonia e Ungheria, come il resto dell’Europa centrale, hanno ricevuto critiche sin dall’inizio della crisi migratoria e non in modo accidentale. “In particolare dobbiamo vedere dietro il Partito Democratico… George Soros” ha affermato. Secondo Orbán il filantropo ungherese naturalizzato statunitense ha esortato l’Europa ad accogliere almeno un milione di musulmani, mentre l’Ungheria ha bloccato questo piano di matrice “sorosiana”. “La bocca è quella di Clinton – ha aggiunto passando alla vicenda specifica – la voce è quella di George Soros”. Già nei giorni precedenti aveva risposto il ministro degli Esteri, Petér Szijjártó: “Nessuno, nemmeno Bill Clinton, può permettersi di offendere il popolo ungherese in questo modo.” “Bill Clinton – ha chiosato il ministro – può non apprezzare la decisione degli ungheresi, ma questo non è un motivo per l’ex presidente di offenderli”.
C’è da dirlo: i Clinton hanno ammonito più volte il Paese guidato da Viktor Orbán. Era successo nel 2011, quando la legge sui media voluta dal governo conservatore aveva fatto scattare la ex first lady e allora capo della diplomazia americana. “In quanto amici dell’Ungheria – aveva dichiarato Hilary in una conferenza stampa congiunta con Viktor Orbán – abbiamo manifestato le nostre preoccupazioni e chiesto un impegno reale per l’indipendenza della magistratura, la libertà di stampa e la trasparenza del governo”. Toni più accesi erano stati usati nel 2014 di nuovo da Bill, quando al “The Daily Show”, il politico americano aveva citato i tre modelli di governo più comuni nel mondo attuale, individuandoli nel modello imprenditoriale di tipo non governativo, in quello di stampo democratico e in quello basato sul capitalismo autoritario. Citando una nota dichiarazione di Orbán sulla costruzione di un modello capitalistico autoritario nel Paese, Clinton aveva obiettato “sta in pratica dicendo di non voler lasciare mai il potere. Di solito questo genere di persone vuole solo restare in carica per sempre e fare soldi”.
Adesso la vicenda è diventata un’ulteriore capitolo nell’eterno scontro tra il governo di Orbán e il potente miliardario magiaro-americano, rinvigorendo la teoria complottista secondo cui quest’ultimo sia alla guida di un gigantesco “impero-ombra”. “Il governo ungherese crede che Soros sia un influente sostenitore del Partito Democratico USA e che creerà spazio per le sue opinioni ad ogni costo” ha asserito János Lázár, capo di gabinetto del governo Orbán.