Alcune centinaia di persone hanno sfilato nelle strade di Pristina in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, il 17 maggio. Si è trattato di un evento storico per il Kosovo, che mai aveva visto tenersi tale manifestazione. Il primo Gay Pride del Paese si è svolto senza incidenti e già questo, alla luce degli episodi violenti che negli anni passati hanno interessato simili dimostrazioni nelle città dei Balcani, è un dato positivo. A favorire il normale svolgimento della manifestazione, promossa da tre organizzazioni non governative, è stata la massiccia presenza della polizia, che ha di fatto scortato i manifestanti per l’intero percorso, ma soprattutto la decisione, piuttosto anomala, di preparare l’evento in gran segreto. Non vi era stato, difatti, nessun annuncio in merito alla manifestazione, preparata accuratamente nell’ombra, proprio per evitare che si organizzassero contro-cortei in grado di sfociare nella violenza. Il risultato è stato un evento poco pubblicizzato, piuttosto modesto nei numeri dei partecipanti, ma comunque dal significato rilevante.
Dietro alle bandiere arcobaleno hanno sfilato anche rappresentanti istituzionali, a partire dal Presidente della Repubblica Hashim Thaçi, che ha voluto sottolineare come in Kosovo tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti, indipendentemente dalla loro etnia o dal loro orientamento sessuale. Insieme all’uomo forte della politica kosovara, erano presenti anche il suo predecessore alla presidenza, Atifete Jahjaga, e gli ambasciatori degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. La presenza del Capo dello Stato è stato un messaggio forte, dettato soprattutto dalla necessità di dimostrare ai partner occidentali che il Kosovo ha tutte le carte in regola per raggiungere gli standard europei, specialmente in un momento di forti contrasti politici all’interno del Paese che ne stanno minando l’immagine. In questo senso, gioca a favore di Pristina una moderna protezione legislativa dei diritti della comunità LGBT. Anche grazie all’assistenza esterna, in primis americana, nella fase di stesura della Costituzione, il Kosovo si trova ad essere uno dei pochi Paesi al mondo in cui è bandita a livello costituzionale la discriminazione dovuta all’orientamento sessuale, come sancito all’articolo 24 del testo. La stessa definizione di matrimonio, inoltre, non fa riferimento alla sessualità dei due contraenti, il che potrebbe non escludere (in futuro) il matrimonio omosessuale.
Le tutele previste sulla carta, però, sono molto diverse dalla realtà dei fatti. Il Kosovo si caratterizza per una società fondata su valori fortemente tradizionali, in cui la religione islamica ha un’influenza rilevante e crescente. Le convenzioni sociali dominanti vedono nell’omosessualità un elemento di vergogna o di devianza, il che si traduce nella paura di dichiararsi, per evitare di subire discriminazioni, minacce o segregazione, a partire dall’ambiente familiare. Secondo il report del National Democratic Institute, che ha condotto diversi sondaggi tra i cittadini dei Paesi balcanici, il Kosovo risulta essere il fanalino di coda in termini di accettazione dell’omosessualità rispetto al resto della regione, dove comunque il tema resta molto sensibile. Esemplificativo dell’opinione di una larga parte della popolazione è stato il post su Facebook pubblicato da un deputato kosovaro, Gëzim Kelmendi, che, proprio in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, ha scritto che è scientificamente provato che l’omosessualità è una malattia, nonchè tra le principali cause di disgregazione del nucleo familiare e della diminuzione della popolazione. Proprio alla luce del persistere di tale mentalità, la manifestazione di Pristina ha un significato importante, perchè rimette al centro il tema della non discriminazione ed esorta a far sì che le tutele cartacee si traducano in una garanzia concreta dei diritti. La vera sfida, ora, sarà far sì che, il prossimo anno, tale evento possa essere organizzato, pubblicizzato e svolto alla luce del sole, senza paure.