Da BELGRADO – Era il 12 ottobre del 2010. In programma c’era la partita di calcio valida per le qualificazioni a Euro 2012 Italia-Serbia, allo stadio Marassi di Genova. La partita iniziò con notevole ritardo per essere poi definitivamente annullata dopo appena sei minuti di gioco. La colpa fu degli hooligans serbi giunti in massa nel capoluogo ligure, dando vita a incidenti, atti di vandalismo e pericoloso lancio di oggetti in campo. Di quei fatti e di quella massa di persone, ubriache e violente, il pubblico italiano ricorderà per sempre un nome, Ivan Bogdanov, e il suo volto, coperto da un passamontagna. Ivan “il terribile” verrà ricordato per aver dominato la serata di Genova, mentre a cavalcioni disfaceva la rete di protezione e mostrava le tre dita, simbolo nazionale serbo.
Da lì in poi, per qualche anno, la Serbia tutta verrà associata all’immagine di un pazzo violento che, incappucciato, decide le sorti di altre migliaia di persone, ovvero gli spettatori giunti quella sera allo stadio per vedere del semplice calcio.
La forte simbolicità di quell’episodio è stata rivissuta a Belgrado negli ultimi giorni, in seguito ad un fatto di cronaca che resta ancora poco chiaro.
Tutto inizia nella notte tra il 24 e il 25 aprile, mentre il paese sta ancora seguendo il lento spoglio delle schede elettorali del voto tenutosi quel giorno. Nel quartiere Savamala, pieno centro e cuore della movida belgradese, alcune persone incappucciate e armate di ruspa hanno demolito diversi edifici, minacciando le persone presenti.
Anche se fortunatamente non vi è stato alcun ferito, la vera notizia è che quella notte la polizia non è intervenuta, nonostante sia stata chiamata più volte. Inoltre, l’intera faccenda ha raggiunto l’interesse del vasto pubblico molto tempo dopo i fatti, ovvero solo in seguito alle indagini condotte dall’Ombudsman Saša Janković che nel proprio report pubblicato il 9 maggio afferma che “le autorità competenti non sono intervenute in tempo utile e in modo efficace in seguito alle chiamate dei cittadini che denunciavano un’ azione da parte di persone organizzate, attrezzate e mascherate contro il diritto dei cittadini alla libertà e alla sicurezza, all’inviolabilità fisica e psichica, all’integrità e alla proprietà privata”.
Come si evince dal report di Janković, sorge il dubbio naturale che dietro l’intera questione si nascondano i vertici della polizia e del governo, considerato che l’intera azione di devastazione è stata condotta in modo attrezzato (due ruspe), organizzato e pianificato con largo anticipo e che di conseguenza non si tratta di semplice vandalismo. Quel che più insospettisce è che a distanza di tre settimane non ci sia stato ancora nessun arresto e che i vertici della polizia non abbiano voluto rilasciare dichiarazioni circa lo stato delle indagini.
All’indomani della pubblicazione del report dell’ombudsman, unico ente pubblico ad essersi veramente occupato della questione, cioè ad aver fatto il proprio dovere, le dichiarazioni del primo ministro Aleksandar Vučić hanno suscitato diverse polemiche. Il primo ministro ha innanzitutto detto che nessuno avrebbe impedito alla polizia di operare, per poi affermare che si trattava di “edifici abusivi, costruiti in modo illegale“, come a giustificarne la distruzione. Inoltre, ha aggiunto addirittura che chi ha distrutto queste “inutili baracche” è un idiota, non tanto per averle distrutte, ma piuttosto per averlo fatto di notte, perché “se l’avesse fatto alla luce del giorno, anch’io l’avrei aiutato a farlo”, ha detto Vučić.
Queste dichiarazioni sono a dir poco scioccanti, se si pensa che provengono da una delle più alte cariche dello stato. Il messaggio che trapela è che ogni cittadino possa dunque avvalersi dell’autorità di distruggere la proprietà di qualcun’altro solo perché brutta e costruita abusivamente senza essere arrestato, ma anzi ottenendo il supporto del primo ministro? L’analista politico Teofil Pančić commenta ironicamente, “è come se un privato cittadino si recasse, armato di ruspa, in riva alla Sava per distruggere la casetta estiva costruita abusivamente dal presidente della repubblica Tomislav Nikolić. Il primo ministro accorrerebbe subito per aiutarlo. Non sarà mica il nostro premier uno che mente?“
Per arricchire di intrigo l’intero episodio bisogna inoltre sottolineare che la zona in questione, Savamala, è un’area interessata dai lavori del progetto macroscopico “Belgrado sull’acqua”, un investimento da oltre 2 miliardi di euro, su cui il governo Vučić sta puntando molto. Il progetto prevede appunto la rimozione di alcuni edifici storici, compresa la stazione ferroviaria, e la costruzione di una serie di edifici e palazzi. Tuttavia, si tratta di un progetto caratterizzato da molte incognite e sul quale il governo sembra aver mentito circa i tempi, i finanziamenti e in generale le dinamiche del progetto. A sostegno della contrarietà a tale progetto era infatti sorto un comitato cittadino, “Ne da(vi)mo Beograd” (non diamo/soffochiamo Belgrado), che denunciava le oscurità del progetto. Tra queste rientrano ora anche i fatti di Savamala.
Il comitato cittadino ha infatti lanciato una protesta, dal nome “giù la maschera”, alludendo appunto al fatto che dietro i passamontagna che hanno distrutto gli edifici di Savamala ci siano le autorità locali, con la connivenza del primo ministro e del ministro dell’interno.
Nonostante i principali mezzi di informazione non abbiano nemmeno riportato la notizia, la protesta ha portato nella piazza antistante il municipio diverse migliaia di cittadini e cittadine (un evento raro negli ultimi anni), che spontaneamente hanno manifestato in difesa della propria città, affinché nessuna abitazione e nessun edificio venga illegittimamente distrutto dalla sera alla mattina da gente incappucciata, senza poi subire ripercussioni. Il messaggio dei manifestanti è stato chiaro, “questa storia puzza” e per dimostrarlo hanno preso di mira il palazzo del municipio col lancio di rotoli di carta igienica.
Le loro richieste prevedono le dimissioni delle principali autorità competenti: il ministro dell’interno Nebojša Stefanović, il sindaco di Belgrado Siniša Mali, il capo della polizia Vladimir Rebić, il capo della polizia comunale Nikola Ristić e il presidente del municipio di Belgrado Nikola Nikodijević.
Il comitato fa inoltre sapere che qualora non verranno soddisfatte le loro richieste, verranno indette nuove proteste.
Una riflessione circa l’intera faccenda riguarda le condizioni dei cittadini di Belgrado, e della Serbia in generale, che sembrano sempre più ostaggio di una classe politica che può permettersi di tacere circa la distruzione illegittima della proprietà privata dei cittadini e delle disfunzionalità delle autorità competenti.
Come nel caso degli incidenti di Genova del 2010, l’immagine della Serbia viene ancora una volta infangata da un manipolo di pochi incappucciati, poco importa che distruggano le recinzioni di uno stadio o delle “inutili baracche”, il problema sta nell’autorità incontrastata che questi riescono ad esercitare, oltre ogni limite legale.