A volte pare di non dire niente di nuovo: lo schema d’azione di Diritto e Giustizia (PiS), il partito nazional-conservatore di governo in Polonia, non riserva sorprese e lascia sempre e solo profonda amarezza. Una consuetudine ormai, quella del governo: un giorno si attenta alla libertà di stampa, l’altro alla corte costituzionale, un po’ si affossano le libertà civili, un pizzico di epurazione che non guasta mai, e l’immancabile retorica nazionalista. Lo spettacolo di Kaczynski, iniziato a fine ottobre, si impreziosisce ogni mese di qualche perla e la collana si fa lunga. PiS – si sa – non ha mai spiccato per lungimiranza e tanto meno per avvedutezza storica. Così, come vuole il manuale del perfetto uomo politico ristretto, si usa la storia come un elastico da tendere verso il proprio credo.
Tra le tante polemiche dei mesi scorsi, un nuovo pezzo è entrato nella collezione: il Museo sulla Seconda Guerra Mondiale, il cui progetto risale a otto anni fa e avrebbe aperto i battenti all’inizio del prossimo anno, sarà fuso con l’ancora inesistente Museo di Westerplatte, la penisola di Danzica dove ha avuto inizio il conflitto. Ad annunciarlo è stato il ministro della Cultura, Piotr Gliński, il mese scorso. Per il governo, il progetto museale, sostenuto dall’ex premier Donald Tusk e dal suo partito Piattaforma Civica per un totale di 120 milioni di dollari, non si concentrava abbastanza sulla storia polacca perché inserita nel più ampio contesto internazionale dell’epoca. La fusione, dicono invece i critici, minerebbe l’originale progetto per cui si lavora da anni, restringendo non solo la visione storica degli eventi ma diminuendo il valore del museo stesso la cui peculiarità sarebbe l’analisi del conflitto oltre le consuete prospettive nazionali.
Il direttore del Museo, Pawel Machcewicz, teme, anzi ne è quasi sicuro, che una decisione del genere comporti la rimozione dell’attuale dirigenza amministrativa e faciliti le modifiche al concept stesso del Museo, il cui contenuto è già stato parzialmente prodotto. Un cambiamento di sostanza e anche di forma, dunque. La nuova istituzione, infatti, conserverà il nome originario ma lo statuto e il programma andranno definiti.
Circa 200 storici statunitensi ed europei hanno firmato un appello indirizzato a Gliński affermando che “qualsiasi interruzione dei lavori sarebbe una tragedia agli occhi di chi studia il passato e di tutti quelli che hanno a cuore il futuro della Polonia”. Tra questi anche i più famosi studiosi del secondo conflitto, Norman Davies e Timothy Snider. Proprio quest’ultimo, già consulente per il museo, ha scritto un articolo sul The New York Review of Books i primi di gennaio a sostegno dell’originale progetto museale.
“La Seconda Guerra Mondiale rimane il conflitto cruciale dell’era moderna, ma fino ad oggi nessuna istituzione ha tentato di presentarla come storia pubblica globale. A differenza di molti musei simili, quello di Danzica non accetta una convenzionale storia della guerra, o segue una cronologia patriottica della battaglia utile a questa o quella memoria ufficiale nazionale”, scrive Snyder nel suo denso e interessante pezzo. “Come i polacchi vedono loro stessi, la democrazia e l’Europa dipenderà dalla possibilità di avere pronto accesso alla complicata esperienza del loro paese nella Seconda Guerra Mondiale. Il collasso della democrazia, primo tema del museo, non potrebbe essere più saliente come in questo momento. E la presentazione del conflitto come tragedia globale più formativa. La liquidazione preventiva del Museo non è nient’altro che un violento colpo all’eredità culturale mondiale”.