Da MOSCA – La festa dell’anno per i russi è il 9 maggio, il giorno della Vittoria (День Победы). Vittoria, ovviamente, della Seconda Guerra Mondiale, o meglio della Grande Guerra Patriottica (Великая отечественная война), per usare il termine da manuale di storia russo. Detta Grande, per distinguerla dall’altra Guerra Patriottica che la Russia ha già vissuto (e vinto chiaramente, complice il “generale Gelo”), quella del 1812, contro Napoleone. Dinamiche dopotutto simili: attacco e invasione da parte di una potenza straniera, contrattacco deciso e simbolico che riporta il nemico a testa bassa fino alla sua capitale: Parigi nell’Ottocento, Berlino settantuno anni fa. Una tale prova di valore e forza non può che inorgoglire i russi – e i loro governanti negli anni non hanno mai stentato ad alimentare questo orgoglio. Se durante l’epoca sovietica, il 9 maggio veniva ricordato pur sempre dopo l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, dal 1995, quando per i 50 anni si sono organizzate parate e commemorazioni, la ricorrenza è divenuta proprio l’Evento dell’Anno, con tanto di bandiere, stendardi, coccarde che decorano città e persone per oltre due settimane.
Un po’ di storia
Alle ore 22.43 dell’8 maggio 1945 (a Mosca erano già le ore 00.43) la Germania firma la resa definitiva, che entra in vigore alle 23.00 (01.00 a Mosca). L’Armata Rossa ha così ufficialmente sconfitto il nemico nazista. Erano oltre due milioni i soldati dell’Unione Sovietica, molti dei quali caduti durante l’avanzata. Morti che vanno a sommarsi a tutte le vittime russe in madrepatria – episodio tristemente noto, tra gli altri, quello dell’assedio di Leningrado dall’8 settembre 1941 al 18 gennaio 1944 – e che nell’insieme hanno lasciato un’indelebile traccia nella memoria nazionale. Quasi un luogo comune per i russi ricordare che ognuno di loro ha almeno un parente nella lista delle vittime della Seconda Guerra Mondiale. Anche per questo l’iniziativa “Reggimento immortale” (Бессмертный полк), partita da Tomsk nel 2012, ha avuto un tale successo negli ultimi anni: l’idea è quella di affiancare alla parata ufficiale, un’ulteriore marcia di persone comuni che portano tra le mani le fotografie dei parenti che durante la Grande Guerra Patriottica hanno combattuto nell’Armata Rossa. Anche il presidente Putin a Mosca lo scorso anno ha partecipato.
I festeggiamenti di quest’anno
La celebrazione del 71esimo anniversario della Vittoria avviene quest’anno in 26 città, con l’impiego di oltre 40.000 soldati e 800 mezzi militari. A Mosca, chiaramente, si è organizzata la parata più imponente, con 10.000 soldati e 170 mezzi, tra cui 70 aerei ed elicotteri. A conclusione della giornata, inoltre, i consueti fuochi artificiali. Non sono mancati rafforzamenti sui controlli antiterrorismo, che hanno portato tra l’altro al fermo di alcune persone a Mosca nei giorni precedenti la manifestazione.
Il Giorno della Vittoria, a conti fatti, si configura come una spiccata celebrazione della guerra, dove a farla da padrone per le strade non sono affatto elementi di pace (dopotutto, la data non dovrebbe ricordare come 71 anni fa si sia fermata una tragica guerra in Europa?), ma carri armati, missili e truppe ben armate. Nell’immaginario comune russo è proprio questo l’aspetto più ovvio che deve conservare la giornata e la popolazione aspetta con ansia il 9 maggio anche per poter presenziare ad una tale imponente sfilata di mezzi militari. Così l’Unione Sovietica e la Russia hanno abituato a leggere il Giorno della Vittoria, di fatto costringendo, anche attraverso queste celebrazioni, a considerare normale il costante stato “militarizzato” della società. Una nazione forte, che in passato ha vinto e cacciato il nemico portando avanti la causa “patriottica”, viene così subito associata alla sua potenza in campo militare, che va posta in bella vista e osannata. La guerra (le guerre) che combatte una tale nazione diventano motivo di orgoglio e vanto, non di rado sfociando in nazionalismo. E il potere che comanda queste truppe viene direttamente convalidato, considerato meritevole di fiducia, poiché, a prescindere dalle decisioni che esso prenda, porta pur sempre avanti l’atavica “Missione” della “grande patria”.