Il 27 aprile, nella piccola palestra di Lukavać, il Bosna Sarajevo ha battuto i padroni di casa 71- 89, garantendosi il ritorno nella prima lega della Bosnia-Erzegovina. Non è una notizia qualunque: il Bosna di Delibašić, Radovanović e Tanjević fu la prima squadra del basket jugoslavo a vincere la Coppa dei Campioni, contro l’Emerson Varese nel 1979. Come era finito il Bosna, una squadra storica del basket europeo, a giocare nella seconda lega del già di per sé per nulla competitivo campionato bosniaco? La situazione è la stessa in ogni nazione balcanica: praticamente tutti i grandi blasoni della Jugoslavia che fu non se la passano per nulla bene.
I club storici rimangono la partecipazione statale e si sono così portati dietro una marea di debiti che, dato anche il momento economico generale, le società faticano a pagare. L’avvento dei campionati nazionali, inoltre, ha portato ad un enorme abbassamento del livello delle competizioni (tamponato in parte con la creazione della Lega Adriatica) e, di conseguenza, dell’interesse per il pubblico. Le grandi società si sono ritrovate a giocare in piccoli palazzetti di cittadine provinciali, talvolta contro giocatori semi-professionisti già condannati prima della palla a due. Infine il modello attuale del basket risente sempre di più dei milioni di euro provenienti dalle polisportive spagnole, russe e turche, e i Balcani non ci stanno più dietro. C’è poi la questione dei giovani, che partono sempre più presto: Dončić, Hezonja e Radičević sono alcuni dei tanti nomi di giovani ragazzi partiti in conquista dell’Europa già prima dei 20 anni. Molti ragazzi ormai iniziano già il settore giovanile lontano da casa, e così tamponare il gap economico diventa ancora più difficile.
Il declassamento degli ultimi anni è innegabile e sotto gli occhi di tutti. Gli habitué dell’Eurolega sono finiti a giocare o in Eurocup (Olimpija Lubiana) o in FIBA Europe Cup (Cibona Zagabria) o, addirittura, hanno dovuto rinunciare interamente a una coppa europea (Partizan Belgrado). Quest’anno i partecipanti all’Eurolega sono stati due: lo Stella Rossa, che ha sfruttato la crescita delle polisportive a base solida e si è rilanciato alla grande e il Cedevita Zagabria, la personale squadra del magnate delle bevande croato che, nonostante la solidità economico-societaria, non ha scaldato per niente il cuore dei tifosi della capitale croata, ancora legati a un Cibona sempre più in crisi sia di risultati che dal punto di vista economico. E queste società sono quelle che, nell’ultimo decennio, in una maniera o nell’altra, sono rimaste in piedi.
Il caso più eclatante oltre al Bosna Sarajevo è quello di Spalato. Da Kukoć e Rađa a una squadra “quasi scomparsa” e a dirlo non è uno qualunque, ma Roko Ukić, ultimo gioiello uscito dal settore giovanile della squadra dalmata, che a ridosso della guerra vinse tre coppe campioni di fila, prima di un’ovvia diaspora: «Mio figlio non conosce i giocatori di Spalato, ma tutti quelli del Cedevita, perche gioca l’Eurolega e la Lega Adriatica. I tempi cambiano, purtroppo è una situazione triste, ma è così e tocca adeguarsi», sentenzia con poca diplomazia il playmaker, quest’anno passato da Cantù e Varese. Nel 2015, l’annus horribilis delle squadre storiche balcaniche, oltre alla retrocessione del Bosna, si è rischiata proprio anche quella dell’ex Jugoplastika, che si è salvata solo all’ultima giornata dei playout e anche lo Zara, culla del basket croato, fa fatica (non ha mai raggiunto i playoff della Lega Adriatica).
Cedevita Zagabria, Mega Leks Belgrado, Spars Sarajevo. Nuove realtà interamente private stanno nascendo e grazie a una libertà economica più ampia stanno avendo risultati sempre più incoraggianti. Per ora, però, a questi team manca la cosa più importante. Gli spalti pieni.
Foto: KK Zadar (Facebook)