SERBIA: “Il re è morto. Viva il re!” – Riflessioni sulle elezioni serbe

di Nikola Pavlović

In Serbia esiste un detto popolare che dice “ogni miracolo dura tre giorni“. La scena politica serba ha infatti aspettato questi tre giorni prima che si placassero gli animi scaturiti in seguito ai risultati delle elezioni, affinché questi si potessero analizzare in modo sobrio e a mente fredda. Anche se la Commissione Elettorale della Repubblica ha tardato nel pubblicare i risultati definitivi, è sufficiente basarsi sullo scrutinio del 98% dei seggi elettorali e considerare ogni eventuale aggiustamento come un errore statistico.

Dunque, secondo i risultati ufficiali, il Partito Progressista Serbo (SNS) di Aleksandar Vučić insieme ai suoi alleati ha ottenuto il 48,26% delle preferenze, aggiudicandosi quindi 131 seggi nel parlamento serbo. Il suo alleato di coalizione, il Partito Socialista Serbo (SPS), ha ottenuto l’11% dei voti, ovvero 30 seggi nel parlamento, un risultato atteso considerato che l’elettorato di questo partito è piuttosto costante a prescindere dall’affluenza alle urne. Considerato quindi che i primi due partiti risultano essere quelli che formavano la precedente coalizione di governo, ci si potrebbe avvalere del motto anglosassone “il re è morto, viva il re!

Inoltre, entreranno altri 5 partiti nel parlamento serbo, che avrà dunque un aspetto più variegato rispetto alla precedente legislatura. Oltre al SNS e al SPS, siederanno anche 21 deputati del Partito Radicale Serbo; il Partito Democratico e il movimento Dosta je bilo con 16 deputati ciascuno; e 13 deputati a testa per le coalizioni DSS-Dveri e SDS-LDP-LSV.

La novità maggiore di queste elezioni non è tanto il ritorno dei radicali in parlamento – c’era da aspettarselo, considerata la crescita in popolarità dovuta alla sentenza di liberazione del suo leader, Vojislav Šešelj – ma piuttosto il successo del movimento Dosta je bilo di Saša Radulović che dopo il 2,5% delle scorse elezioni ha ottenuto ora il 6,05% dei voti. Tralasciando ogni valutazione di carattere politico sulla natura di questo movimento, è innegabile che si tratti di un successo, soprattutto se paragonato al Partito Democratico, che esiste da 25 anni e che disponeva di mezzi e finanziamenti molto superiori per la propria campagna elettorale ed ha ottenuto lo stesso numero di seggi.

E adesso?

Anche se la prima impressione è che il partito progressista di Vučić mantenga un ruolo egemone sulla scena politica serba, da un certo punto di vista si potrebbe anche dire che in realtà il SNS abbia fallito. Infatti, avendo conquistato 27 seggi in meno rispetto alle elezioni del 2014 il SNS non ha più la possibilità di formare un governo autonomamente e di conseguenza Aleksandar Vučić ora dovrà scegliere un partner di coalizione non tanto perché lo desidera, ma bensì perché deve.

Anche se molti analisti hanno sottolineato l’indebolimento del SNS, è necessario guardare ai partiti che formano l’opposizione, che non è né omogenea, né coerente. I rappresentanti del cosiddetto “blocco democratico”, personaggi ormai consunti per la politica serba, anche se non si distinguono troppo dal punto di vista dei programmi politici, è difficile che siano in grado di superare le avversità e i disaccordi personali e unire le proprie forze. Lo stesso vale per il “blocco nazionalista”, ovvero i radicali e la coalizione DSS-Dveri, considerato che Šešelj ha apostrofato questi ultimi come “mercenari al soldo degli americani” che sicuramente non avrebbero superato la soglia di sbarramento.

Una delle conseguenze della tradizionale memoria corta tra i serbi sarà l’aspettativa circa una forte opposizione da parte dei radicali. In molti infatti non ricordano che già negli anni ’90 i radicali erano “l’opposizione preferita” di Slobodan Milošević, in quanto la loro attività politica era indirizzata innanzitutto contro gli altri partiti dell’opposizione e che di conseguenza non dovrà stupire se questi faranno opposizione prevalentemente agli altri partiti presenti nel parlamento serbo, piuttosto che contro il SNS di Vučić, al quale Šešelj ha già proposto una coalizione.

Quel che sembra certo è un accordo di collaborazione tra la coalizione DSS-Dveri e il movimento Dosta je bilo, i cui leader si erano riuniti presso la Commissione Elettorale della Repubblica mentre questa procedeva al conteggio dei voti per denunciare le irregolarità elettorali il cui scopo era che queste due forze politiche non superassero la soglia di sbarramento.

Mentre l’isteria dei partiti che si trovano appena al di sopra di tale soglia (DSS-Dveri e la coalizione SDS-LDP-LSV) si accinge al suo epilogo, le opinioni degli analisti sono contrastanti. Anche se il risultato di Vučić è inferiore rispetto alle scorse elezioni, e il parlamento sembra aver acquisito un maggior pluralismo, sarà difficile vedere un’opposizione vera ed unita, e sarà molto più realistico aspettarsi che le discussioni parlamentari siano caratterizzate da una battaglia tra i partiti all’opposizione, piuttosto che da un loro fronte comune contro l’egemonia di Vučić.

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