L’estrema destra sfonda al primo turno delle presidenziali in Austria, con il candidato FPÖ Norbert Hofer che sfiora il 35% e arriva primo in quasi tutti i comuni della repubblica federale. A seguirlo, con il 21% e il 19% dei voti ciascuno, i due candidati outsider: l’economista pro-rifugiati Alexander Van Der Bellen, sostenuto dai Verdi, e l’ex giudice della corte suprema Irmgard Griss, indipendente, trainata dal voto femminile. Batosta per i candidati dei due partiti della grosse koalition governativa, il socialdemocratico Rudolf Hundstorfer e il democristiano Andreas Khol, fermi all’11% ciascuno. In fondo, come previsto, il Berlusconi austriaco Richard Lugner con poco più del 2% delle preferenze.
Hofer, xenofobo e amante delle armi, è arrivato al primo posto nei suffragi degli elettori austriaci in quasi tutti i comuni della repubblica federale, andando ben oltre i sondaggi che lo davano appaiato a Griss e Van Der Bellen. Ma al ballottaggio, tra un mese, la sua piattaforma politica basata sulla chiusura rischia di restare minoritaria rispetto ad un voto mainstream che, ieri diviso tra quattro candidati, convergerà sul suo sfidante. Nella cosmopolita (e tradizionalmente rossa) Vienna, il candidato sostenuto dai Verdi già raccoglie da solo il 33% dei voti.
Come in Italia, quello del presidente della repubblica austriaca è un ruolo prevalentemente cerimoniale, ma il voto è considerato un test per il governo rosso-nero del cancelliere Werner Feymann, specialmente in relazione alla sua politica ondivaga su asilo e migrazione. L’anno scorso Feymann aveva sostenuto la politica d’accoglienza di Angela Merkel verso i profughi siriani che risalivano la rotta balcanica. Vienna era allora la porta dell’Europa centrale, per chi aveva attraversato Macedonia, Serbia e Ungheria. Ma da alcuni mesi il governo austriaco aveva tirato il freno a mano, imponendo limiti al numero di richiedenti asilo e guidando l’iniziativa per la chiusura della rotta balcanica, allineandosi così a Viktor Orban. Da ultimo, il governo Feynmann aveva nelle scorse settimane iniziato i lavori per la costruzione di una “barriera di sicurezza” al Brennero. A capo dei falchi vi era la ministra degli interni, Johanna Mikl-Leitner, corrispettivo austriaco del bavarese Schäuble rispetto alla politica di apertura di Angela Merkel, e allineato a lei il giovane e rampante ministro degli esteri, il non ancora trentenne Sebastian Kurz. Ma la virata securitaria dei democristiani austriaci non è bastata a conquistar loro voti a destra. E i loro alleati socialdemocratici hanno egualmente perso i voti “buonisti”, migrati verso il candidato ecologista, egli stesso figlio di rifugiati, che si oppone al tetto governativo alle richieste d’asilo.
Così questa elezione presidenziale potrebbe dare indicazioni significative per le elezioni politiche che si terranno tra due anni, nel 2018. Van Der Bellen ha già affermato di esser pronto, in caso venisse eletto, a rompere la prassi che vuole che il capo di stato offra l’incarico di formare il governo al leader del primo partito – tanto più se, come previsto, a fare incetta di voti dovesse essere proprio l’FPÖ di Strache e Hofer. Dall’altra parte, lo xenofobo Hofer ha promesso di mandare a casa da subito il governo Feymann per la sua gestione “incompetente” della crisi migratoria.
In ogni caso, chiunque vinca il 22 maggio, per la prima volta dal 1945 sarà un outsider a fare da capo dello stato a Vienna. Il duopolio consociativo tra socialdemocratici SPÖ e democristiani ÖVP, sempre più a rischio dopo l’ascesa dell’estrema destra haideriana negli anni ’90 e 2000, sembra essere arrivato al capolinea. Anziché sul compromesso tra capitale e lavoro, il futuro dell’Austria – così come quello dell’Europa intera – si definisce sempre più intorno ad una spaccatura profonda nella società tra i fautori dell’apertura e quelli della chiusura, esemplificata dalla questione immigrazione. La sfida tra il politico xenofobo e l’economista-ecologista figlio di rifugiati sembrano incarnarla bene.