Potremmo dire, con una certa amarezza, che se certi uomini fossero stati più numerosi, più potenti o semplicemente meno osteggiati dal potere, la storia della Jugoslavia avrebbe avuto un percorso diverso. Evitando cioè i noti disastri degli anni Novanta. Uno di questi uomini è senza dubbio Nebojsa Popov, intellettuale serbo di cui ricordiamo la morte avvenuta qualche giorno fa, all’età di 77 anni. Sociologo, partecipò all’avventura visionaria della rivista Praxis. Entrò nel mirino del potere già nel 1971 quando un suo saggio sull’ondata nazionalista allora montante in Croazia venne semplicemente proibito; in realtà per i prassisti la critica al nazionalismo non era altro che la continuazione della critica al burocratismo autoritario contro cui – in nome di un marxismo libertario – lottavano. La parabola si chiuse pochi anni dopo quando a Popov non venne rinnovato il passaporto per poi venire espulso sia dalla Lega dei comunisti che dall’insegnamento all’università di Belgrado.
Nell’88, quando ormai la Jugoslavia socialista scricchiolava sotto il peso congiunto dei nazionalismi e della crisi economica, venne fondata a Zagabria l’Associazione per l’iniziativa democratica jugoslava (UJDI), di cui Popov fu il secondo presidente. In una intervista disse: “Nel 1989 ci rendevamo conto che i mutamenti avvenuti nel paese erano stati insufficienti, di fatto avevano portato ad uno spostamento del sistema di controllo del partito dal livello federale a quello repubblicano. L’élite politica del paese era contraria ad un cambiamento sostanziale”. Il sogno di transitare ad una democrazia jugoslava rimase, come si sa, solo un sogno. Nel sostantivo come nell’aggettivo.
Coerentemente, lottò contro le guerre – ad esempio protestando contro l’assedio di Sarajevo e portando aiuti alla capitale bosniaca – e promuovendo la libertà di espressione e i diritti umani, i diritti delle donne (cosa inusitata in una società patriarcale e maschilista come quella balcanica) e dei lavoratori. Nel 1990 divenne redattore capo di Republika, giornale che nel sottotitolo recitava: “notiziario per la liberazione del cittadino”. Per la sua vita di intellettuale tanto scomodo quanto engagé, ha ricevuto premi e riconoscimenti. “Simbolo di libertà e di coraggio”, titola ora Danas nel ricordarlo. Tuttavia gli è mancato il premio più bello ed importante, quella democrazia progressista jugoslava che aveva teorizzato nelle pagine di Praxis e poi vissuto nel breve impegno politico con l’UJDI. La storia gli è stata ingrata.