Visita lampo di Papa Francesco nell’isola greca di Lesbo, simbolo di quell’emergenza migranti che sta interessando tutta l’Europa – e non solo – da molti (troppi) mesi a questa parte.
Il viaggio pastorale del Santo Padre è stato breve (è durato infatti appena un giorno), ma questo non ha impedito al pontefice di mandare segnali molto importanti e forti, soprattutto in direzione dei politici che ricoprono posizioni di rilievo in Europa. “L’Europa è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare”, definendo poi l’emergenza “la catastrofe più grande dopo la seconda guerra mondiale“, con bambini che, percorrendo le rotte della disperazione, “vedono morire le proprie madri e i propri padri”. Per rendere ancora più forte e sferzante il suo messaggio, ha poi portato con sé, nel viaggio di ritorno, 12 migranti, che saranno ospitati dalla Comunità di Sant’Egidio, almeno per il momento: tutti musulmani e tutti siriani, la religione in questo caso non c’entra. Tre famiglie, sei adulti e sei minori, giunti a Lesbo dalla Turchia prima del 20 marzo, prima cioè dell’accordo tra Erdogan e l’Europa. Non rischiavano dunque di essere rispediti al mittente, ma, essendo gli unici con tutti i documenti a posto, potevano essere agevolmente presi e portati “in salvo”.
A Lesbo non c’è stato bisogno di dire tante parole. Sono bastati i gesti eloquenti e condivisi di tre capi di Chiese cristiane, il Papa e i «fratelli» Patriarchi ortodossi, per ricordarci chi siamo e invocare la responsabilità in un momento in cui altri leader (anche) cristiani, stavolta politici, alzano barriere in Europa. I tre capi di Chiesa hanno firmato una dichiarazione congiunta. Hanno indicato soluzioni concrete. Insieme hanno sottolineato che la crisi dei rifugiati è un problema europeo e internazionale che richiede una risposta comprensiva che rispetti le leggi europee e della, comunità delle nazioni.
Ancora una volta, insomma, il Papa ha rivelato la sua natura politica. Il Santo Padre, infatti, non è semplicemente il capo della Chiesa, o il capo di Stato della Città del Vaticano, ma possiede ed esercita spesso e volentieri quel “soft power” che, non soltanto a Lesbo ma anche in altre occasioni, si è dimostrato essere più efficace di qualunque altro potere. Anche stavolta, infatti, il Papa si è rivolto, sì, ai politici europei, ma voltando loro le spalle e rivolgendosi alla gente, alle persone. «Per essere veramente solidali con chi è costretto a fuggire dalla propria terra, bisogna lavorare per rimuovere le cause di questa drammatica realtà: non basta limitarsi a inseguire l’emergenza del momento, ma occorre sviluppare politiche di ampio respiro, non unilaterali. Prima di tutto è necessario costruire la pace là dove la guerra ha portato distruzione e morte, e impedire che questo cancro si diffonda altrove. Per questo bisogna contrastare con fermezza la proliferazione e il traffico delle armi e le loro trame spesso occulte; vanno privati di ogni sostegno quanti perseguono progetti di odio e di violenza. Va invece promossa senza stancarsi la collaborazione tra i Paesi, le Organizzazioni internazionali e le istituzioni umanitarie, non isolando ma sostenendo chi fronteggia l’emergenza». Chi ha orecchi per udire, oda.