In Macedonia, dopo la decisione presa dal presidente Ivanov di concedere la grazia a coloro che erano indagati dalla procura speciale per crimini elettorale, sono in corso proteste, anche violente, contro il governo presieduto dalla VMRO-DPMNE, il partito conservatore di destra. Sotto lo slogan “Insieme per una Macedonia libera”, la società civile si è riunita per manifestare il suo dissenso contro Gruevski e Ivanov. Negli scontri è stato assaltato l’ufficio del presidente Ivanov, il ministero della giustizia e ci sono state delle cariche sotto il parlamento dopo che i manifestanti avevano forzato un cordone di polizia. La risposta della VMRO a queste proteste non si è fatta attendere, chiamando a raccolta i suoi sostenitori per una contromanifestazione a Skopje.
Dittatura o democrazia?
La Macedonia non è certo un paese rinomato per essere democratico, tutt’altro. Sono numerosi gli studi fatti sul paese e quello che è emerso non è certamente un quadro positivo. Da quando Gruevski e la VMRO sono saliti al potere dopo la crisi del 2004, vincendo le elezioni del 2006, hanno creato un sistema di potere fortemente clientelare e autoritario, collegato anche alla criminalità organizzata. I macedoni, secondo uno studio effettuato dal Macedonian Centre for European Training, mostrano un forte timore nell’esprimersi liberamente riguardo alla politica, con il timore di poter perdere il proprio lavoro o di subire ripercussioni su di loro o sulla loro famiglia. La situazione non migliora se si indaga sulla libertà di informazione. Organizzazioni come la missione OSCE/ODIHR avevano sollevato il problema nelle contestate elezioni del 2014, vinte dalla VMRO, e da altre come Freedom House. Il governo e la polizia sono stati anche accusati di aver torturato l’ex candidato presidente Ljube Boškoski, oppositore della VMRO, quando era stato arrestato per finanziamenti illeciti al suo partito durante la campagna elettorale nel 2009. La Macedonia, che dal 1991, anno della sua indipendenza dalla Jugoslavia, si è proclamata democrazia, è piuttosto uno stato ibrido, ossia un sistema autoritario mascherato da democrazia.
La crisi politica
La crisi è sorta già nel 2014 quando le elezioni furono contestate dall’opposizione socialdemocratica. I parlamentari della SDSM sostenevano infatti come la consultazione elettorale fosse stata pilotata grazie all’informazione unidirezionale e a registri elettorali falsati. I deputati socialdemocratici abbandonarono il parlamento fino a quando, un anno dopo, il loro leader Zoran Zaev ha pubblicato delle trascrizioni di intercettazioni che accusavano il governo di aver tenuto sotto controllo circa 20.000 persone tra politici, magistrati e giornalisti. ei giorni in cui si svolsero proteste di piazza a seguito delle pubblicazioni, Gruevski e la VMRO organizzarono contromanifestazioni chiamando a raccolta militanti e sostenitori del loro partito, mentre nella cittadina di Kumanovo si scatenava l’inferno: un gruppo di terroristi, secondo il governo provenienti dal Kosovo mentre secondo l’opposizione manovrati dall’UBK, il servizio segreto macedone guidato da Sašo Mijalkov, cugino del premier e dimessosi all’indomani di Kumanovo, aveva attaccato un reparto della polizia inviato per arrestare un gruppo di trafficanti di droga. Sulla vicenda non vi è stata fatta chiarezza, ma qualunque sia la versione ad averne giovato è stato solamente l’esecutivo di Gruevski, che ha distolto l’attenzione interna e ha compattato la popolazione contro un nemico comune.
Con la mediazione del commissario europeo Johannes Hahn e del mediatore europeo Peter Vanhoutte si era giunti a una, seppur fragile, soluzione con la stipula dell’accordo di Pržino, che prevedeva elezioni anticipate, governo di unità nazionale e la costituzione di una procura speciale per indagare sullo scandalo intercettazioni. Seppur molti punti siano stati rispettati, con numerose forzature da parte di Gruevski, la soluzione definitiva non è stata raggiunta. Le elezioni del 5 giugno, precedentemente fissate per il 24 aprile, saranno infatti boicottate dalla SDSM poiché, secondo quanto dichiarato da Zaev, alcuni indici di maggiore democraticità, come la pulizia dei registri elettorali e una riforma del sistema d’informazione, non sono stati raggiunti.
La Macedonia entra in un buco nero?
La situazione non volge a favore per la Macedonia, come anche sottolineato spesso da Vanhoutte sul suo profilo Twitter e in numerose dichiarazioni pubbliche. Nonostante abbia ottenuto nel 2005 lo status di paese candidato all’ingresso dell’UE, una sua futura integrazione – che già era lontana – diventa quasi impossibile. La stabilizzazione del paese rischia di diventare quindi un miraggio, dal momento che si ritroverebbe abbandonato dagli obiettivi che vorrebbe raggiungere: l’integrazione euro-atlantica. La possibilità che quindi si ritrovi isolato dalla comunità internazionale rischia di diventare un fattore chiave per il futuro del paese, aumentando il grado di autoritarismo. A beneficiarne non sono certamente i macedoni, il cui esodo dal paese è ormai un fatto riconosciuto e compiuto.
Il ruolo dell’Unione Europea
Con i suoi rappresentanti Hahn e Vanhoutte, coadiuvati dall’ambasciatore UE Orav e il suo omologo statunitense Baily, l’Unione Europea ha avuto un ruolo certamente non di secondo piano nel cercare di risolvere la crisi politica. I fatti di questi giorni hanno mostrato però una debolezza strutturale dell’UE, che non ha saputo imporre le sue direttive per garantire il ritorno alla stabilità e, soprattutto, per incamminare il paese verso una maggiore democraticità. Nonostante sia riuscita a far giungere a un accordo i principali partiti politici con la firma dell’accordo di Pržino, la sua iniziale attuazione non è bastata. Gli eventi degli ultimi giorni hanno ribaltato completamente la situazione, rendendo difficile una possibile soluzione della crisi politica. Non saranno certo le dichiarazioni delle autorità europee operanti nel paese a fargli cambiare la rotta. Se vuole essere un riferimento ed essere, quindi, autorevole con gli attori con i quali si rapporta, l’UE deve essere più incisiva nelle sue azioni. La Macedonia potrebbe essere un banco di prova importante per la politica di allargamento comunitaria, visti i problemi sorti pubblicamente da due anni a questa parte. Per ora l’Unione Europea sta fallendo e deve cambiare il suo modus operandi: la minaccia della mancata integrazione non basta.
Foto: Robert Atanasovski/AFP News Agency