Il presidente della Macedonia, George Ivanov, ha deciso di graziare chiunque fosse coinvolto nello scandalo intercettazioni esploso un anno fa a causa della pubblicazione, da parte del leader dell’opposizione Zoran Zaev, delle trascrizioni di presunte intercettazioni compiute da persone vicine al premier Nikola Gruevski. Intercettazioni che vedevano coinvolte circa 20mila persone tra giornalisti, politici, magistrati, tenute sotto controllo dai servizi segreti guidati da Saso Mijalkov, cugino di Gruevski, poi costretto alle dimissioni nel maggio 2015. Quello scandalo fece da detonatore a imponenti manifestazioni di piazza.
Dopo una lunga crisi politica, che ha avuto anche risvolti violenti, si era finalmente giunti a un accordo con l’intermediazione dell’Unione Europea. L’accordo prevede elezioni anticipate, da tenersi il prossimo 5 giugno, e la nomina di un procuratore speciale, individuato in Katica Janeva, per chiarire l’effettiva gravità di quelle intercettazioni.
La decisione del presidente Ivanov dà un colpo di spugna alle indagini e mette in discussione gli accordi, con il rischio di riaccendere la crisi politica. “Sono convinto che questo sia un grande passo in avanti verso la riconciliazione – ha dichiarato Ivanov – e che questo aiuterà a creare un’atmosfera adatta alla competizione politica e democratica, basata su idee e programmi, non su accuse e delegittimazioni”. Vero è che il partito di governo, di cui Ivanov è esponente, esce così rafforzato (e impunito) da uno scandalo capace di metterne in crisi il decennale potere.
La decisione non ha lasciato indifferenti i macedoni che subito sono tornati in strada gridando “senza giustizia, non c’è riconciliazione”. Un corteo si è diretto verso il palazzo presidenziale e la sede del VMRO – il partito di governo – prontamente bloccato dalla polizia in tenuta antisommossa. Si sono registrati scontri. Zoran Zaev, leader dell’opposizione, ha chiesto le dimissioni di Ivanov. Il rischio di una nuova ondata di proteste è concreto. Il partito di governo è al centro di una rete mafiosa, alimentata da una corruzione endemica, che usa i servizi segreti per mantenere il potere e minacciare le voci critiche. Una rete disposta a tutto pur di mantenere il potere.
L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno espresso “preoccupazione” per la decisione di Ivanov che “mina lo stato di diritto” in Macedonia. Johannes Hahn, commissario europeo per l’allargamento, ha dichiarato: “La decisione del presidente Ivanov pone seri dubbi sul fatto che delle elezioni credibili siano ancora possibili“.