Domenica 10 aprile, durante il periodico discorso in televisione, il Premier Arseniy Yasenyuk ha annunciato che rassegnerà a breve le proprie dimissioni. Utilizzando parole misurate e chiaramente preparate in dettaglio, non ha nascosto il proprio disappunto rispetto ad una decisione nell’aria ormai da tempo dovuta – a suo giudizio – ad una crisi politica creata artificialmente.
Il testamento politico di Yatsenyuk
Il discorso alla nazione è apparso subito un testamento politico. A partire dalle elezioni politiche dell’autunno 2014, quando il partito di Yatsenyuk, il Fronte Nazionale, superò il 20% delle preferenze, il tasso di gradimento del Premier è risultato in costante calo. Attualmente non più del 5% della popolazione ne apprezza l’operato, ed il Fronte Nazionale, seconda forza alla Verkhovna Rada, è completamente scomparso dalle opinioni di voto.
Yatsenyuk ne è cosciente e sa che difficilmente avrà un ruolo di vertice nel prossimo futuro. Si lascia quindi andare ad un veloce riepilogo dei risultati raggiunti, anche se in maniera troppo generica per risultare convincente. Cita l’esercito e la polizia, completamente riformati, la spinta irreversibile verso l’Unione Europea, l’indipendenza energetica dalla Russia, l’austerità, le riforme strutturali e una forte spending review che – dice – hanno salvato l’Ucraina dal default. Non cita, tuttavia, la lotta alla corruzione, probabilmente perché lui stesso, ed alcuni membri del suo Governo, ne sono stati accusati.
Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?
A Yatseniuk non si può non riconoscere l’aver presentato da subito, appena salito al potere nel febbraio 2014, la criticità della situazione e la promessa di “lacrime e sangue”.
Quanto descritto come un successo da Yatseniuk meriterebbe un’analisi, anche se va dato atto che qualcosa è stato fatto. Tuttavia la critica maggiore riguarda proprio ciò che non è stato fatto, in primis la tanto promessa lotta alla corruzione.
Non è un caso che mese dopo mese molti dei volti nuovi e spesso di origine straniera che erano stati coinvolti nella compagine governativa abbiano abbandonato la barca, ultimo dei quali l’ex Ministro dello Sviluppo Economico e del Commercio, il Lituano Abromavicius.
Il Presidente Poroshenko, che aveva più volte invocato un passo indietro del primo Ministro, giungendo anche ad appoggiare, tramite alcuni parlamentari del suo partito, una mozione di sfiducia nel febbraio scorso, sembra quindi aver vinto definitivamente la sfida con Yatsenyuk. Determinante in questa lotta appaiono le potenze straniere, tra tutte gli Stati Uniti, che hanno scaricato l’ormai ex primo Ministro a favore del Presidente, identificato come persona in grado di mantenere l’equilibrio e di avere nettamente in mano le sorti della politica ucraina: sono ormai distanti i giorni in cui Victoria Nuland, Assistente del Segretario di Stato americano, diceva in telefonate riservate che “Yats” era la persona giusta per il posto di primo Ministro.
Una vera crisi?
La crisi di Governo e le dimissioni di Yatsenyuk non giungono inaspettate. Le pressioni su di lui sono cresciute mese dopo mese e ultimamente erano diventate insostenibili. Negli ultimi giorni si sono svolti molti incontri tra i rappresentanti dei partiti e sembra che la transizione da Yatsenyuk al nuovo primo Ministro sia stata delineata, così come sembra identificata la coalizione che lo supporterà in Parlamento. Yatsenyuk ha annunciato che il suo partito sosterrà il nuovo Governo e che tra i suoi obiettivi rimangono l’accesso dell’Ucraina nell’Unione Europea e nella NATO, la riforma della legge elettorale, della Costituzione e del sistema giudiziario. Considerata la resistenza a lasciare l’incarico gli scorsi mesi e la disponibilità a supportare il nuovo primo Ministro non appare assurdo pensare che Poroshenko, il vero architetto del cambio di Governo, gli abbia garantito una contropartita in cambio della sua fedeltà.
Nuovo primo Ministro sarà con tutta probabilità il giovane Volodymyr Groysman, attuale speaker del Parlamento, membro del partito del Presidente e suo fedelissimo. Si era fatto il nome, nei mesi scorsi, di Natalie Jaresko, Ministro delle Finanze, nata e cresciuta negli Stati Uniti, e principale artefice dell’accordo con il Fondo Monetario Internazionale per un prestito complessivo di circa 40 miliardi di dollari. Ancora non è dato sapere se la Jaresko, ritenuta l’interlocutrice principale con le istituzioni finanziarie mondiali e per certi versi garante dei vari prestiti, sarà parte del nuovo Esecutivo: un ulteriore problema in quel di Kiev.