di Gabriele Merlini
Berlino. Sebbene «la nostra (dei tedeschi) storia non sia mai stata solo nostra e non lo sarà nemmeno in futuro» ebbe a sostenere Hans-Dietrich Genscher, ministro degli esteri della Germania Ovest quindi della Germania unificata, «il nostro è un popolo al centro dell’Europa ed è, tra tutti, quello che ha il maggior numero di vicini: nel bene e nel male tutto ciò che accade in Germania si ripercuote sull’intero continente, e dico questo senza presunzione poiché ciò comporta responsabilità maggiori».
Il centro dell’Europa, dunque. Nonché il rapporto aumento-di-potere/aumento-di-responsabilità come già in Spiderman. Senza contare il numero dei vicini. Inoltre c’è vicino e vicino e se la Svizzera evoca fantasmi meno inquietanti, il confine tedesco-polacco finisce sempre per essere area particolare in qualsiasi modo venga messa: sarà destino. Infatti, per quanto nessun paragone possa essere proposto con il passato, qualche scricchiolio in zona viene percepito anche di questi tempi e principalmente riguarda il mercato del lavoro e il flusso reale o potenziale di individui a svallare sulla direttiva Est-Ovest dell’Oder (Odra in ceco e polacco, Wódra nelle lingue lusiziane, sia mai possa servire da gancio.) D’altronde le cose stanno così da un ventennio e parrebbero i cambiamenti sociali e/o politici di Germania e Polonia avere scalfito ben poco la percezione -specialmente tedesca- del viavai di lungo corso. Alcune contestualizzazioni.
L’Economist in un articolo sul tema propone la seguente considerazione come incipit: «Poles driving across the Oder into Germany seem less scary than Tunisians coming to Italy by sea.» Brillante. Tuttavia anche qui si avverte qualche patema perché (a) l’argomento-lavoro è di quelli delicati a qualsiasi latitudine e (b) un certo tipo di visione dell’Est rimane radicata in segmenti della socialità nella nazione-motore-del-continente™ e il mare magnum orientale che fu prima della caduta, l’oceano slavo a due passi che vai a sapere cosa nasconde, continua talvolta a suscitare percezioni non tanto differenti dai tempi che furono.
Sia come sia restano degne di nota le direttive interne alla Germania dei lavoratori arrivati dal confine orientale (polacco principalmente) e quanto il tempo contribuisca a spostarne la bussola di qualche grado. Per esempio molti negli anni scorsi avrebbero scelto di bypassare i Länder di confine (Sassonia, Brandeburgo) preferendo loro il ricco sud (Baden Württemberg o Baviera) oppure scegliendo di inquadrare la Germania come stazione di passaggio per altri paesi più appetitosi tipo Gran Bretagna o Spagna. Ma la crisi genera crisi e in questi ultimissimi tempi i dati tornano a parlare di alte preferenze per la Germania tout court, anche in virtù delle recenti aperture sul mercato del lavoro*, specie adesso che la Germania ha consolidato il ruolo di capoclasse in Europa. Faccenda agevolata dallo sviluppo e la stabilità economica interna della Polonia e i rapporti da finale disneyano ai vertici tra Berlino e Varsavia, neanche scalfibili da qualche leak maligno che vorrebbe una volontà tedesca di Europa a due velocità, sotto sotto. I soliti disfattisti di lungo corso.
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* Riferimento al primo maggio di quest’anno, giorno nel quale Germania e Austria hanno parificato «pienamente» gli otto paesi dell’Europa centro-orientale (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia) con altri stati-membri entrati in precedenza nell’EU. Decisione destinata a creare non poche polemiche sebbene la Commissione Europea sostenga quanto non ci sia motivo di stracciarsi le vesti anzi una eventuale infornata di manodopera di «media qualificazione»** proveniente dall’aera farà un gran bene. Senza contare inoltre quanto le stime parlino chiaro: nel duemilaquattro un milione circa di lavoratori provenienti dalla Europa centro-orientale risiedeva nell’ex Europa occidentale. Nel duemilaquindici saranno tre milioni, non un esodo.
Poi il fatto che nessuno si fidi di previsioni di questo tipo è tutt’altro discorso.
** Termine sfuggente che tutti usano e noi di conseguenza.