Se si pensava che il compromesso raggiunto tra il partito di maggioranza, la VMRO di Nikola Gruevski, e l’opposizione socialdemocratica guidata da Zoran Zaev, avesse posto fine, momentaneamente, alla crisi politica, i fatti hanno mostrato l’esatto opposto. Dopo lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale, avvenuto mercoledì 7 aprile in tarda serata per opera del presidente del parlamento con l’assenza dei deputati dell’opposizione, Zoran Zaev ha tenuto una conferenza stampa nel quale si è detto pronto a boicottare le elezioni anticipate previste per il 5 giugno. La motivazione è sempre la stessa, la medesima che ha portato al rinvio delle consultazioni elettorali precedentemente previste per il 24 aprile: il controllo dei registri elettorali, presupposto imprescindibile senza il quale non potranno essere garantite libere elezioni in Macedonia, dato che, secondo la Commissione elettorale di stato, tale compito difficilmente potrà essere assolto in tempo utile.
I casi di elettori dubbi sono infatti molti e il presidente della commissione elettorale, Aleksandar Čičakovski, ha dichiarato che non avrebbe confermato le liste elettorali fino a quando sarebbe esistito un caso non analizzato o sul quale non si è fatta la necessaria chiarezza. Altro punto chiave in vista delle elezioni era la ratifica di una legge volta a liberalizzare i media che, come riconosciuto anche dalla missione OSCE/ODIHR nel 2014, sono eccessivamente controllati dall’establishment di governo. Zoran Zaev, dopo aver affermato la possibilità concreta di boicottare le elezioni, ha sostenuto che è possibile che lo scontro politico si sposti nelle piazze, inaugurando una nuova stagione di manifestazioni pubbliche.
La crisi politica in Macedonia è sorta in seguito alle elezioni che si sono tenute ad aprile del 2014. Dopo che i parlamentari della SDSM, sconfitta alle elezioni dalla VMRO, hanno boicottato il parlamento, il loro leader Zaev aveva pubblicato delle trascrizioni di alcune presunte intercettazioni che vedevano coinvolti personaggi di spicco della leadership della VMRO. Questo aveva portato, la scorsa primavera, a proteste di piazza davanti alla sede del Governo, con le successive dimissioni del ministro dell’interno Gordana Jankuloska e del ministro dei trasporti Mile Janakieski, anche a seguito degli scontri di Kumanovo che si tennero a maggio 2015. Per risolvere la crisi era stato firmato dai principali partiti macedoni l’Accordo di Pržino, insieme alla collaborazione del commissario europeo Johannes Hahn, e dell’Ambasciatore americano Baily, che prevedeva le dimissioni di Gruevski, elezioni anticipate e la costituzione di una procura speciale per indagare sullo scandalo intercettazioni.
La risoluzione della crisi politica è fondamentale non solo per il paese, ma anche per l’Europa. La Macedonia ha infatti ottenuto lo status di paese candidato all’integrazione nell’Unione Europea nel 2005, i cui negoziati non sono andati avanti a causa dell’opposizione greca per la disputa sulla questione del nome. Se la crisi politica non venisse risolta, quanto precedentemente profetizzato dal mediatore europeo Vanhoutte potrebbe avverarsi: la Macedonia potrebbe diventare una nuova Bielorussia, paralizzata internamente e, soprattutto, isolata esternamente.
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