Dai tempi della caduta dell’Unione Sovietica e della conseguente indipendenza dei Paesi dell’Asia centrale, solo due delle cinque repubbliche hanno sperimentato un cambio al vertice della catena di comando. Queste eccezioni sono il Kirghizistan, dove due diverse rivoluzioni sono riusciti ad instaurare una fragile democrazia parlamentare, ed il Turkmenistan, dove alla morte del presidente Niyazov, il suo posto è stato occupato da Gurbanguly Berdimuhamedow, precedentemente ministro della salute e vice primo ministro. Tutti gli altri Paesi invece sono guidati dagli stessi presidenti al comando al tempo dell’indipendenza. Per quanto il loro potere possa essere stabile e ben radicato, neppure loro possono sfuggire al passare del tempo, motivo per cui la spinosa questione della successione diventa sempre più pressante ogni anno che passa.
Il tema è particolarmente sentito per Nursultan Nazarbayev, presidente del Kazakistan, che tra pochi mesi compirà 76 anni. Nel suo caso, è fortemente probabile che la lotta per la successione, inacerbita anche dalla difficile situazione economica del Paese, si giochi all’interno della famiglia del presidente stesso. Come avviene in molti Paesi dalle istituzioni fragili ed autoritarie, il presidente Nazarbayev ha infatti posizionato una nutrita schiera di parenti ai vertici politici ed economici dello Stato. La parte del leone è toccata alle tre figlie ed ai loro mariti e figli, che si spartiscono cariche politiche e posizioni di comando nel settore bancario e petrolifero. Nazarbayev tuttavia non ha creato un vero e proprio delfino, impedendo che una figura in particolare acquisisse eccessiva rilevanza e creando invece una costellazione di poteri che si bilanciano a vicenda. Tuttavia, una serie di avvenimenti recenti ci permette di fare alcune supposizioni. Lo scorso settembre infatti la figlia maggiore del presidente, Dariga Nazarbayeva, è stata nominata vice primo ministro del Paese. Prima d’ora Dariga non aveva avuto importanti cariche, ed anzi la sua figura era stata seriamente danneggiata dalla figura del marito, Rakhat Aliyev, che in seguito ad una serie di accuse che andavano dal riciclaggio di denaro sporco all’omicidio ed all’alto tradimento, nel 2007 era fuggito dal Paese, per poi finire in una prigione austriaca, dove, nel 2015, è stato trovato impiccato in seguito ad un apparente suicidio. Nonostante ciò, Dariga può vantare una forte influenza sul partito al governo, Nur Otan, e sulle agenzie di stampa governative. Anche i suoi due figli svolgono cariche di rilievo, in quanto il primo, Nurali Aliyev, è vicesindaco della capitale Astana, mentre il secondo Asultan Aliyev, ha sposato la figlia di Kayrat Boranbayev, presidente del consiglio d’amministrazione della KazRosGaz.
Se dunque riguardo al Kazakistan possiamo permetterci di esprimere alcune ipotesi, benché incerte, la situazione dell’altro grande Stato dell’area, l’Uzbekistan, è decisamente più fumosa. Anche qui il presidente Islam Karimov è in carica dal 1991 ed è molto anziano, avendo da poco compiuto 78 anni. Per ora, l’attenzione si è concentrata sulle due figlie del presidente, Gulnara e Lola Karimova. La prima è stata una figura di primo piano nel panorama economico e culturale del Paese, ma negli ultimi tempi è caduta in disgrazia presso il padre ed è stata posta agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione. Questo dovrebbe favorire la seconda figlia Lola, la quale invece fa parte della delegazione permanente dell’Uzbekistan presso l’UNESCO. Tuttavia Lola ha a lungo vissuto fuori dal Paese e non ha mai rivestito cariche importanti. Inoltre, lei stessa ha annunciato di non avere interesse in politica, ed ha al contempo rivelato di avere pochissime possibilità di diventare l’erede politica di suo padre.
Anche per quanto riguarda il Tagikistan la situazione è altrettanto fumosa ed incerta. Il presidente Emomali Rahmon, che guida il Paese dal 1991, ha 64 anni ed è decisamente più giovane dei suoi omologhi Uzbeki e Kazaki. Nonostante ciò, alcune voci suggeriscono che il presidente potrebbe farsi da parte per le prossime elezioni presidenziali, previste per il 2020. Anche in questo caso il successore più probabile è il figlio dell’attuale leader, Rustam Emomali, recentemente messo a capo dell’agenzia per il controllo finanziario e per la lotta contro la corruzione. Nel gennaio di quest’anno inoltre un gruppo di parlamentari ha proposto di modificare la Costituzione per abbassare l’età minima per candidarsi alla presidenza da 35 a 30 anni. Un tale cambiamento sarebbe fatto su misura per Rustam Emomali, che nel 2020 avrà compiuto 33 anni.
In definitiva, la questione della successione di questi tre gerontocratici presidenti diventa anno dopo anno sempre più pressante. Tuttavia l’assenza di eredi designati e la natura arbitraria e personale del potere dei presidenti fa aumentare i timori che la loro morte possa essere seguita da un periodo di violenta instabilità.
Umberto Guzzardi