TURCICA: Il mondo turco all’alba del terzo millennio

La nuova situazione apertasi con la dissoluzione dell’URSS fu accolta in Turchia con entusiasmo ed euforia. Il presidente Turgut Özal parlò dell’inizio del “secolo turco”, e della rinascita della grande civiltà della steppa, che si estendeva «dall’Adriatico alla Grande muraglia cinese». Nei fatti, una concreta politica panturca si rivelò difficilmente attuabile. Con i paesi turcofoni dell’Asia centrale, la Turchia avviò programmi soprattutto culturali ed economici, dal momento che la Russia non perse affatto la sua storica influenza politica nel vecchio “impero”. Parzialmente diverso fu invece il rapporto con l’Azerbaigian. Ma anche in questo caso l’argomento dell’unione fraterna tra le due nazioni – costantemente sbandierata in entrambi i paesi – è stato uno strumento retorico di grande impatto emotivo, più che un reale indirizzo politico.

L’assenza di una concreta prospettiva comune per le diverse nazioni turcofone non è in ogni caso il primo problema che il mondo turco deve affrontare oggi. La democrazia – al di là delle elezioni di facciata – è pressoché sconosciuta in quasi tutti i paesi ex-sovietici di lingua turca. Per ciò che riguarda il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, la situazione è estremamente critica in tutta l’area. Con l’unica parziale eccezione del piccolo Kirghizistan, tutti i paesi turcofoni dell’ex-URSS sono governati da regimi autoritari più o meno mascherati, tra i quali  spicca in negativo la grottesca dittatura del Turkmenistan. Con l’eccezione di Azerbaigian e Kazakistan, che sono stati abili a sfruttare le risorse energetiche dei loro territori, la regione è caratterizzata da una diffusa arretratezza economica.

La Turchia costituisce un caso oggettivamente diverso rispetto al resto del mondo turcofono. Non ha un passato comunista, è piuttosto ben inserita nel contesto culturale e politico del “mondo libero” occidentale e soprattutto ha una tradizione consolidata di democrazia parlamentare, pur con tutti i suoi limiti. Non c’è alcun dubbio che il tenore e la qualità di vita dei suoi abitanti e la vitalità della sua società civile siano infinitamente più sviluppati che nei paesi ex-sovietici. Nonostante ciò, alcuni sviluppi attuali destano preoccupazione anche per il futuro della democrazia turca. Dopo un decennio caratterizzato – specialmente nei primi due mandati – da una discreta spinta riformista e da una spettacolare crescita economica, negli ultimi anni i governi dell’AKP di Erdoğan hanno mostrato una certa tendenza autoritaria, accompagnata dalla ripresa di una retorica nazionalista e sciovinista, talora venata da sfumature religiose. A ciò va aggiunto il pericolo dell’isolamento internazionale, favorito dalla conduzione di una politica estera cinica e opportunista, che nel mondo è stata da molti percepita come ambigua e immorale, soprattutto in relazione alla crisi mediorientale. Esiste la concreta possibilità che nel prossimo futuro l’economia vivrà dei contraccolpi a causa della situazione politica che si è venuta a creare.

Nonostante tutte queste difficoltà, ci sono alcune buone ragioni per considerare positivamente l’attuale situazione del mondo turco. Un secolo fa era legittimo dubitare delle speranze della civiltà turca di poter sopravvivere nel mondo moderno. L’intero universo turcofono eurasiatico era stato assorbito dalla Russia, e le politiche di colonizzazione e russificazione mettevano in pericolo la stessa esistenza di molti popoli turchi, intesi come culture autonome. Alla fine del primo conflitto mondiale di fatto non esisteva più alcuno stato turco indipendente, e lo stesso impero ottomano – formalmente rimasto in piedi sotto la tutela alleata – sembrava l’anacronistica vestigia di un mondo che non esisteva più. Tutto ciò che i turchi avevano costruito nei secoli avrebbe potuto sparire come gli accampamenti dei nomadi quando si smontano le tende. Cos’è in fondo il palazzo Topkapı, con i suoi chioschi, se non un gigantesco accampamento di pietra? A molti i turchi sembravano destinati a diventare un nome sui libri di storia, come gli egizi, i celti o i fenici.

Oggi, come abbiamo visto, esistono sei stati turchi indipendenti. Tra le 22 repubbliche autonome interne alla Federazione russa, sette sono turche (Altai, Baschiria, Ciuvascia, Khakassia, Yakutia, Tatarstan, Tuva), mentre altre tre rappresentano più di una nazionalità, tra le quali c’è una componente turcofona riconosciuta come costituente (Daghestan, Cabardino-Balcaria, Karaçay-Circassia). Si deve aggiungere anche la Gagauzia, regione autonoma della Moldavia abitata da turchi cristiani di ceppo oghuz, e la regione autonoma uigura dello Xinjiang, nella Repubblica popolare cinese. Le lingue turche, che hanno un riconoscimento ufficiale in tutte le nazioni e le regioni autonome turcofone, sono parlate da 200 milioni di persone. La cultura turca è più viva che mai, e almeno in Turchia esprime una letteratura di altissimo livello che ha anche prodotto un Premio Nobel a inizio secolo (Orhan Pamuk, 2006). La danza, la musica e le arti trovano terreno fertile in tutto il mondo turcofono, che sta vivendo un rinnovato interesse per il le sue tradizioni e il suo folklore.

In questo momento il mondo turco è come un prisma con molte facce, tra cui se ne distinguono in particolar modo tre. Una guarda a Occidente,verso l’Oceano Atlantico, mentre un’altra, diametralmente opposta, è rivolta verso La Mecca e il mondo islamico. La terza scruta infine gli orizzonti delle steppe, verso la Siberia e i monti Altai, dove si trovano le radici etniche e ancestrali dei popoli turchi. Non è possibile prevedere quali strade prenderà il mondo turco nel suo futuro, se sceglierà una via o continuerà a dividersi e contraddirsi in modo geniale come ha fatto in questi duemila anni. Ma i turchi un futuro ce l’hanno. E all’inizio del ‘900 questo non era affatto scontato.

Si dice che i turchi non siano un popolo molto amato. Questo è forse vero, ma il problema più grande è che sono in realtà poco conosciuti. Conoscere i turchi vuol dire entrare in un mondo di tende e cavalli, tra i pastori nomadi che si emozionavano per l’anima che viveva nei fiumi e ascoltavano gli spiriti che si nascondevano nei boschi, manifestandosi nell’ululato di un lupo o nel canto di un uccello rapace. Significa ammirare il miracolo di cultura e civiltà che si verificò nelle oasi uigure, o fermarsi stupefatti tra i minareti e le cupole di Samarcanda e di Istanbul. Non si può dire di conoscere i turchi senza aver riso delle facezie di Nasrettin Hoca o essersi commossi per una poesia di Nazım Hikmet. Conoscere la civiltà turca significa cercarne l’anima nelle note del saz, quella stessa anima espressa nei versi di Yunus Emre o nella tradizione epica di Dede Korkut. Dopo averli conosciuti in questo modo, è in realtà difficile non amare i turchi e non convenire che il destino ha dato loro un ruolo speciale nella storia del mondo.  Si spera che questa nostra modesta rubrica abbia contribuito un po’ a fare conoscere questo popolo, e stimolato un’ulteriore sete di conoscenza nel lettore.

Chi è Carlo Pallard

Carlo Pallard è uno storico del pensiero politico. Nato a Torino il 30 aprile del 1988, nel 2014 ha ottenuto la laurea magistrale in storia presso l'Università della città natale. Le sue principali aree di interesse sono la Turchia, l'Europa orientale e l'Asia centrale. Nell’anno accademico 2016-2017 è stato titolare della borsa di studio «Manon Michels Einaudi» presso la Fondazione Luigi Einaudi di Torino. Attualmente è dottorando di ricerca in Mutamento Sociale e Politico presso l'Università degli Studi di Torino. Oltre all’italiano, conosce l’inglese e il turco.

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