I safavidi costituiscono un caso piuttosto particolare tra le diverse dinastie turche. Essi non erano infatti espressione di una tribù, ma di un movimento religioso. Agli inizi del XVI secolo la loro setta, basata in Azerbaigian, era comandata da uno sceicco turcomanno di nome Haydar. Questi predicava una dottrina sciita piuttosto eterodossa, che riscuoteva molto successo tra le tribù dell’Anatolia orientale e del Caucaso. Tra i turchi delle campagne molti avevano infatti preservato parte delle tradizioni sciamaniche ed erano legati al sincretismo tipico dei turcomanni. Anche per reazione alla progressiva imposizione religiosa da parte degli ottomani e di altre signorie sunnite, essi cementarono la propria identità attorno a una forma estremamente eterodossa di sciismo, ricco di echi misticheggianti e umanisti. I seguaci di queste dottrine, noti come Alevi (ad indicare la fazione di Ali, cioè lo sciismo), costituirono la base del movimento religioso-politico dello sceicco Haydar.
Ismail, figlio di Haydar, fu il fondatore dell’impero safavide. Nel 1501, supportato dai miliziani sciiti soprannominati kızılbaş (teste rosse), si fece incoronare Scià dell’Azerbaigian. Da questo nucleo caucasico, Ismail intraprese una rapida conquista dell’intero Iran, completata nel 1509. Uomo di grande statura intellettuale, Ismail fu un poeta di notevole talento in lingua turca. Nelle sue opere utilizzò il dialetto dell’Azerbaigian, contribuendo al prestigio letterario di questa variante. Oggi gli azeri – cioè i turchi dell’Azerbaigian – vedono in Ismail il fondatore della propria identità nazionale. Ma la sua decisione di trasformare la Persia in una sorta di teocrazia sciita ebbe un effetto altrettanto importante sui destini dell’Iran. Ismail non riuscì però a ottenere lo stesso successo nel tentativo di estendere il suo impero verso l’Anatolia, poiché nel 1514 venne definitivamente sconfitto dal sultano ottomano Selim I – il restauratore del Califfato sunnita – nella battaglia di Çaldıran.
Da quel giorno la lotta tra gli ottomani sunniti e i safavidi sciiti segnò l’esistenza di tutti i popoli musulmani del Vicino Oriente. Ogni guerra tra le due potenze fu anche una guerra civile e religiosa all’interno della popolazione che viveva nelle zone coinvolte, di cui paesi come Siria e Iraq pagano tutt’oggi le conseguenze. Forse per la prima volta nella loro lunga storia, l’intolleranza e il fanatismo religioso fecero la loro comparsa nei cuori e nelle anime di alcuni turchi, in entrambe le fazioni. I safavidi ruppero presto anche con la tradizione eterodossa del movimento alevita, contribuendo a stabilire canoni più rigidi nella definizione dello sciismo duodecimano. Questa è appunto la variante sciita diffusa oggi in Iran e Azerbaigian, generalmente considerata come la forma convezionale e “ortodossa” dello sciismo.
In un primo tempo l’impero safavide, nonostante la maggioranza della popolazione fosse iranica, fu uno stato principalmente turco. Il centro del potere, che si fondava sulle tribù kızılbaş turcomanne, era nell’Azerbaigian turcofono, e la cultura delle élites era di matrice turca. Con il tempo le cose cambiarono. Nel 1555, quando la capitale Tabriz si rivelò indifendibile perché esposta agli attacchi ottomani, la corte fu spostata nella più persiana Qazvin. Alla fine del XVI secolo lo scià Abbas, che portò l’impero al suo massimo splendore, volle emancipare del tutto l’impero dalle sue radici turche e tribali. Spostò dunque la capitale a Isfahan, tradizionale centro della civiltà persiana, e provvide alla creazione di una casta di funzionari e militari professionisti per limitare la pesante ingerenza delle indisciplinate tribù turcomanne. Anche la cultura delle nuove élites fu modellata su gusti e valori persiani, e da quel momento l’impero safavide sarebbe stato una realtà eminentemente iranica. Ciò non toglie che la componente tribale turcomanna continuasse a giocare un ruolo, ma era ormai subordinata rispetto alla classe dirigente di lingua e cultura persiana.
Questo fu il destino della Persia, dal tempo dei selgiuchidi fino all’età contemporanea. L’Iran venne controllato quasi ininterrottamente da dinastie turche o mongole, le cui vicende seguirono immancabilmente un medesimo copione. Appena insediatisi, i nuovi sovrani erano del tutto estranei alla civiltà persiana e spesso la disprezzavano, ma con il tempo finivano per accettarla e identificarsi totalmente con essa, al punto di diventarne i più fieri paladini. Il prezzo da pagare era quello di alienarsi progressivamente le simpatie delle tribù nomadi che ancora pesavano sulla politica e l’ordine militare dell’Iran. Infine un nuovo condottiero turco rovesciava la dinastia iranizzata per stabilirne una nuova, che sarebbe andata incontro al medesimo destino. I safavidi non sfuggirono a questa legge storica. L’unica cosa più potente della sete di conquista dei turchi era l’attrazione fatale che la raffinata civiltà persiana esercitava su di loro.