TURCICA: L’apogeo degli ottomani

Il disastro di Ankara, con la conseguente sparizione di Beyazıt, gettò lo stato ottomano in un decennio di scompiglio e di anarchia prima che Mehmet I, il figlio più giovane, riuscisse a riprende il controllo della situazione e ristabilire il normale funzionamento dell’impero. L’episodio di Ankara non aveva per nulla compromesso il luminoso destino degli ottomani, che nel 1444 sbaragliarono gli eserciti di una grande coalizione cristiana a Varna, nell’attuale Bulgaria. Ormai l’impero ottomano era definitivamente consolidato, e le difficoltà di inizio secolo un pallido ricordo. Nel 1453 Mehmet II, nipote dell’omonimo restauratore dell’impero, conquistò Costantinopoli e la trasformò nella nuova capitale. Da quel giorno la Seconda Roma fu il centro e il simbolo del più importante e duraturo tra tutti gli stati fondati dai turchi nella loro storia.

Nei successivi due secoli l’impero ottomano raggiunse l’apice del suo splendore, arrivando a rappresentare la prima potenza mondiale per quasi tutta la prima età moderna. Agli inizi del XVI secolo il sultano Selim conquistò la maggior parte del Medio Oriente e del mondo arabo – comprese le città sante di La Mecca e Medina – e nel 1517 costrinse l’ultimo membro superstite della dinastia abbaside a cedergli il titolo di califfo dell’Islam. L’istituzione califfale era da molto tempo del tutto inflazionata, visto che dall’epoca delle invasioni mongole i califfi erano ridotti a fantocci nelle mani dei mamelucchi (schiavi-guerrieri) di origine turca e circassa. Gli ottomani tentarono quindi di presentarsi come restauratori del califfato e massimi esponenti dell’ortodossia islamica sunnita.

In realtà il titolo di califfo fu poco utilizzato ed ebbe uno scarso impatto concreto sulla politica ottomana. Tuttavia, a partire dal periodo di Selim, il rapporto degli ottomani con l’Islam cambiò e i sultani si identificarono con questa religione come nessuna delle altre dinastie turche precedenti o successive. La loro presa di posizione ebbe nel lungo termine un impatto molto forte su tutta la società turca anatolica. Ancora oggi la Turchia è il più profondamente musulmano tra tutti i paesi di lingua e cultura turca. Tuttavia i sultani ottomani non furono mai dei fanatici e il loro impero rappresentò per molti secoli un eccezionale – seppur ovviamente imperfetto – modello di convivenza tra fedi e culture diverse. In questo gli ottomani furono dei veri turchi e degni eredi degli uiguri e dei cazari.

Sotto il regno di Süleyman (1520-1566), famoso in Europa come Solimano il Magnifico, l’impero ottomano raggiunse lo zenit della sua potenza. Attorno a un nucleo centrale costituito dai Balcani e dall’Anatolia, le sue frontiere si estendevano da Budapest a Baghdad e da Algeri alla Crimea. La gestione centrale dell’impero era affidata a un efficiente e cosmopolita corpo di funzionari e militari professionisti, spesso arruolati attraverso il sistema del devşirme. Si trattava di giovani provenienti dalle comunità non musulmane, prelevati dalle famiglie d’origine ed educati per diventare soldati e statisti di altissimo profilo. In questo modo si impediva la formazione di una nobiltà che avrebbe potuto erodere il potere centrale, e si evitavano i problemi che i turchi avevano storicamente sperimentato affidandosi agli antichi sistemi su base familiare e tribale. Il sultano era coadiuvato nelle funzioni di governo da un consiglio supremo, il Dîvâni hümâyun, formato dai massimi rappresentanti dell’amministrazione imperiale. Il consiglio era presieduto da un gran visir denominato sadrazam, che stava al vertice di tutto il sistema politico e burocratico dell’impero ed era direttamente responsabile verso il sultano.

L’impero era strutturato in grandi provincie, chiamate eyalet e affidate al beylerbey, un funzionario di alto rango nominato dal sultano. Gli eyalet erano a loro volta suddivisi in circoscrizioni più piccole, i sangiaccati (sancak), retti da un sancak bey. I Beylerbey e Sancak Bey erano coadiuvati nelle loro funzioni da consigli provinciali e distrettuali a imitazione del Dîvân imperiale. Al livello locale la terra, proprietà del sultano, era infine divisa in timar, affidati ai cavalieri (sipahi) dell’esercito imperiale. Il timariota si differenziava però profondamente dalla figura del signore feudale europeo poiché di norma non aveva legami di natura extra-economica con la terra e con gli uomini che vi risiedevano e la coltivavano.

In politica estera l’azione ottomana fu sempre caratterizzata da un marcato pragmatismo. Costante di tutta la storia ottomana nel periodo classico fu l’inimicizia con i grandi imperi degli Asburgo di Spagna e d’Austria a ovest e dei Safavidi d’Iran a est. L’impero riuscì a gestire questa pericolosa situazione grazie a una costante alleanza con la Francia e a un’intelligente politica d’amicizia più o meno formale con alcuni paesi più marginali in Europa e in Asia. Il pragmatismo ottomano consentì inoltre all’impero di mantenere rapporti relativamente cordiali in ambito economico e negli scambi culturali con paesi tradizionalmente ostili sul piano politico, come la Repubblica di Venezia.

Da un punto di vista culturale, lo stato ottomano fu un impero turco – perché tale era il nucleo della sua civiltà e della sua lingua – ma non fu mai uno stato nazionale. L’impero era il più multietnico e multireligioso che si potesse immaginare, e anche le élite erano di estrazione cosmopolita, benché fossero intrisi della cultura di matrice turca della dinastia Osmanlı. Fino al XIX secolo esse rifiutarono l’appellativo di “turchi”, usato per identificare i contadini e i pastori turcomanni, e preferirono definirsi “ottomani”. In principio la cultura degli ottomani risentì molto dell’influenza della civiltà persianizzante dei selgiuchidi. Benché la lingua ottomana fosse indiscutibilmente una forma di turco, essa era infatti infarcita di termini persiani – e in minor misura arabi – e lo stesso persiano continuava a essere conosciuto e utilizzato dagli intellettuali.

Con il tempo, anche a causa degli stravolgimenti politici che finirono di separare per sempre gli avvenimenti del mondo ottomano e quelli dell’Iran, la civiltà dei turchi ottomani cominciò a emanciparsi dall’influenza persiana e a gravitare sempre di più verso l’Europa. In principio non si trattò di un fenomeno così evidente e rivoluzionario, ma con il tempo i burrascosi rapporti con l’Occidente sarebbero divenuti il fulcro di tutta la storia politica e culturale del tardo impero ottomano e della Turchia moderna.

Chi è Carlo Pallard

Carlo Pallard è uno storico del pensiero politico. Nato a Torino il 30 aprile del 1988, nel 2014 ha ottenuto la laurea magistrale in storia presso l'Università della città natale. Le sue principali aree di interesse sono la Turchia, l'Europa orientale e l'Asia centrale. Nell’anno accademico 2016-2017 è stato titolare della borsa di studio «Manon Michels Einaudi» presso la Fondazione Luigi Einaudi di Torino. Attualmente è dottorando di ricerca in Mutamento Sociale e Politico presso l'Università degli Studi di Torino. Oltre all’italiano, conosce l’inglese e il turco.

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