Tamerlano è stato probabilmente l’ultimo grande condottiero del mondo pre-moderno. La sua irruzione nella storia mondiale fu un vero e proprio terremoto, che sconvolse l’ordine geo-politico dell’Eurasia e lasciò in eredità un mondo trasformato. L’impero che egli creò fu in verità effimero, ma per tutti i paesi coinvolti nelle sue campagne militari e nelle sue strategie politiche – dalla Russia fino alle Indie e dalla Georgia fino all’Afghanistan – la storia si divide in un prima e un dopo rispetto al passaggio di Tamerlano.
L’uomo che l’Occidente conosce come Tamerlano nacque nel 1336 nei pressi della città di Shahrisabz, che oggi si trova in Uzbekistan e al tempo faceva parte del khanato Çağatay, una delle quattro ripartizioni dell’impero mongolo. Era il figlio del capoclan dei Barlas, una tribù nomade di modesta rilevanza. I Barlas avevano antiche origini mongole, ma erano ormai completamente turchizzati da un punto di vista linguistico e culturale. Il suo nome era in realtà Timur, che in turco significa “ferro” ed è una forma arcaica del più comune Demir. Probabilmente in giovane età, Timur rimase menomato da un grave incidente, le cui circostanze non sono mai state chiarite e sono materia di leggenda. Per questa ragione i persiani gli affibbiarono il soprannome di Timur-e Lang (Timur lo zoppo), che fu storpiato dai turchi in Timurlenk e sta all’origine del nostro Tamerlano.
Timur era in principio uno dei tanti piccoli signori tribali della regione, e per tanto non sembrava predestinato a un futuro imperiale. Dovette costruire il suo potere partendo dal basso, servendo altri signori più potenti e inserendosi con astuzia nelle rivalità e nelle gelosie tra questi. La sua ascesa fu dapprima discreta, poi negli anni ’60 divenne rapida e travolgente. Attorno al 1370 era il padrone assoluto delle terre del khanato Çağatay. Sposò la figlia del khan, prendendo il titolo di Gurkan, genero imperiale. Il legittimo sovrano restò formalmente al proprio posto, ma Timur era il suo burattinaio. Anche il kurultay – cioè il consiglio supremo dell’impero – continuò a riunirsi, ma fu ridotto a una mera cassa di risonanza delle opinioni e delle decisioni di Tamerlano. Tutto questo avvenne senza che venisse però mai a mancare il formale e ossequioso rispetto che Timur mostrava per le istituzioni imperiali che egli stesso aveva svuotato di qualunque significato effettivo.
I trent’anni seguenti furono una lunga guerra, condotta contro tutte le potenze turche e islamiche circostanti. In queste pagine non è possibile rendere conto di tutte le campagne militari – in media una all’anno – e dei loro risvolti politici. Le distruzioni e i massacri causati dal passaggio di Tamerlano ebbero un’eco leggendaria che è giunta fino ai nostri giorni. La più importante di queste imprese è stata la lunga e intermittente guerra contro il khan dell’Orda d’Oro Toktamış. Il risultato non fu tanto la conquista di nuovi territori, quanto la distruzione del khanato dell’Orda d’Oro, che non si riprese mai più e cominciò a dissolversi in regni più piccoli e instabili. Le conseguenze di ciò furono importantissime, e si può dire che la Russia sia indirettamente debitrice a Tamerlano per la propria stessa esistenza.
Oltre a un guerriero spietato, capace di azioni talora mostruose, Timur fu però un intellettuale e un mecenate altrettanto notevole. Amante delle arti e delle lettere, fece della sua capitale Samarcanda una delle città più splendide del mondo. Si preoccupò sempre di tenere artisti e intellettuali sotto la sua ala protettiva e finanziò generosamente il loro talento. In tal modo gettò le basi per il cosiddetto “rinascimento Timuride”, stagione di eccezionale vitalità culturale in tutto il mondo turco-mongolo e persiano. Nato e cresciuto in un ambiente nomade e semi-pagano, per tutta la vita Tamerlano si sforzò con scarsi risultati di trasformarsi in un uomo di città e in un guerriero della fede islamica. Ingannò forse gli altri, ma non se stesso. Per quanto il suo proposito di servire l’Islam fosse sincero al pari dell’ammirazione che provava per la civiltà urbana della Persia, in fondo al cuore rimase fino all’ultimo nomade e pagano. Forse odiò se stesso per questa ragione, ma tale è il destino di chi vive lacerato tra due fedi e due culture.
Al principio del XV secolo, l’impero di Timur comprendeva quasi tutta l’Asia centrale, l’Afghanistan, l’Iran, la Mesopotamia, il Caucaso e l’Anatolia orientale. Eppure portò sempre il modesto titolo di emiro, che nel mondo musulmano corrisponde a un sovrano di secondo livello. Ossessionato da una certa forma di legalismo, non volle mai sovvertire le gerarchie formali dell’universo turco-mongolo e agì sempre in nome del suo khan e delle legittime istituzioni gengiskhanidi. Non era tuttavia un mistero per nessuno che Tamerlano fosse il vero padrone di un impero che tutti vedevano come erede di quello di Gengis Khan.
Nel 1402 i bey dell’Anatolia orientale, sempre più schiacciati dalle mire espansionistiche del sultano ottomano Beyazıt, chiamarono in soccorso Tamerlano. Lo scontro ormai inevitabile tra i due grandi sovrani turchi avvenne ad Ankara il 28 luglio 1402, e vide una schiacciante vittoria di Timur. Beyazıt fu fatto prigioniero e morì in cattività. Lo stesso Tamerlano lo seguì nella tomba due anni più tardi, e dopo di lui non ci sarebbero stati altri grandi conquistatori nomadi.
L’età dei popoli della steppa era finita insieme a quella degli arcieri a cavallo, che da sempre avevano costituito la loro forza. Le novità tecnologiche stavano per cambiare completamente il modo di fare la guerra, mentre il centro economico, politico e culturale del mondo si stava spostando dagli immensi altopiani asiatici verso la piccola Europa. Di tutti gli imperi costruiti dai turchi e dai mongoli, gli ottomani erano gli unici in grado di adattarsi alle nuove condizioni. Dal loro punto di vista la disfatta di Ankara, per quanto grandiosa, si sarebbe rivelata solo un incidente di percorso.