In Anatolia, il collasso dell’impero selgiuchide portò alla formazione di svariate signorie turcomanne, a cui ci si riferisce con il termine di “beilicati” (da beylik, che in turco significa appunto “signoria”). Nella situazione di caos che si era venuta a creare, il sultano di Rum – che era rimasto formalmente in carica sotto la tutela mongola – concedeva il controllo dei suoi teorici domini a qualunque capoclan fosse in grado di pagare abbastanza. Formalmente si trattava di vendere soltanto il godimento delle rendite e non il possesso della terra. Nei fatti le tribù si sistemarono nei territori che avevano comprato e si comportarono come padroni.
Ertuğrul, il capo della tribù oghuz dei Kayı, ottenne dei territori nell’Anatolia nord-occidentale, ai confini dell’impero bizantino. Di questo personaggio non si conosce pressoché nulla al di fuori del nome, che aveva un significato sciamanico (“falco virile”) di matrice evidentemente pagana. Pare tuttavia che il padre fosse un certo Süleyman Şah, dal nome chiaramente musulmano, quindi è verosimile che Ertuğrul appartenesse a quell’ambiente semi-islamizzato tipico dei nomadi turcomanni. Probabilmente i Kayı giunsero in Anatolia con le invasioni mongole, fuggendo dalle orde di Gengis Khan, ma è anche possibile che si trovassero già sul posto. Prima di trasferirsi nei possedimenti acquistati da Ertuğrul è probabile che fossero accampati da un certo tempo nella zona del lago di Van. In ogni caso si tratta solo di supposizioni. Le leggende e le biografie agiografiche composte nei secoli successivi non chiariscono nulla e rendono ancora più difficile dissipare le nebbie che avvolgono questi avvenimenti.
Ertuğrul lasciò le sue terre in eredità al figlio Osman, che vi edificò un principato attorno al 1300. La posizione era molto favorevole, perché la prossimità con i centri del potere bizantino dava diverse possibilità e vantaggi rispetto agli altri beilicati anatolici. Innanzitutto consentiva di razziarne i territori a quel tempo ancora relativamente prosperi, cosa che attirò moltissimi mercenari e avventurieri che si unirono al nucleo costituito dalla tribù Kayı. Inoltre i discendenti di Osman – conosciuti con l’appellativo di ottomani (osmanlı) – seppero inserirsi con astuzia nelle contese dinastiche in seno all’impero bizantino e sfruttarne tutti i possibili vantaggi.
Il successore di Osman fu il figlio Orhan, che nel corso del suo lungo regno (1326-1362) gettò le basi per la formazione di un vero stato. Strappò Bursa ai bizantini e ne fece la capitale del principato, dove cominciò a superare la gestione tribale e familiare compiendo i primi passi verso la formazione di una burocrazia e di un personale militare gestito da professionisti. Strinse alleanza con l’imperatore bizantino Giovanni VI Catacuzeno, a cui si legò personalmente sposandone la figlia Teodora e sostenendolo militarmente nelle continue guerre civili contro i rivali Paleologi. Nel 1352 il suocero, che aveva bisogno di assistenza militare, chiamò Orhan in Tracia e gli cedette la fortezza di Gallipoli. Gli ottomani ne approfittarono per favorire l’immigrazione di turcomanni nella regione del Mar di Marmara e in Tracia, utilizzando l’amicizia con l’imperatore per accerchiare progressivamente e silenziosamente Costantinopoli. I bizantini avrebbero pagato queste scelte politiche scellerate e incompetenti con la propria distruzione.
Murat, secondogenito di Orhan e successore al trono, consolidò l’assetto istituzionale abbozzato dal padre e approfittò della base di Gallipoli per espandersi in Europa. Conquistò Edirne, il maggiore centro della Tracia, e vi si insediò come nuova capitale. I suoi eserciti dilagarono ulteriormente nei Balcani occupando gran parte dei territori che oggi costituiscono la Bulgaria e la Macedonia. Il piccolo principato ottomano si era trasformato in un potente impero, e Murat fu non a caso il primo dei sovrani ottomani ad usare il titolo di sultano. Il 15 giugno 1389 gli ottomani sconfissero una coalizione slavo-cristiana nella celebre battaglia di Kosovo Polje, in cui lo stesso Murat trovò però la morte. Da quel giorno l’Europa sud-orientale entrò definitivamente nella zona d’influenza ottomana e vi rimase fino agli inizi del XX secolo.
I primi ottomani trasformarono il loro piccolo principato in una grande potenza, sapendo gestire con intelligenza e pragmatismo la difficile transizione da un sistema economico-politico tribale e pastorale, a una civiltà urbana dotata di istituzioni complesse. Mentre i selgiuchidi, una volta inurbati, avevano semplicemente adottato la civiltà e le istituzioni della Persia islamica, gli ottomani gettarono le basi per una nuova civiltà letterata e urbana, ma di matrice turca. Quello ottomano fu anche il primo grande impero turco-islamico a usare il turco, e non il persiano, come lingua ufficiale. Il sistema ottomano cominciò a sviluppare caratteri propri e originali, non riconducibili alle civiltà islamiche che l’avevano preceduto.
I primi ottomani vanno anche inseriti nel contesto spirituale e religioso del mondo turcomanno. Erano scarsamente interessati a questioni spirituali ma puntavano a conquistare e arricchirsi piuttosto che a propagare l’Islam. Erano circondati da sceicchi e dervisci di dubbia ortodossia e la loro religiosità non doveva essere molto convenzionale. Con il tempo gli ottomani divennero comunque profondamente musulmani e si sforzarono di esserlo nel modo più corretto possibile. Ma per questo ci sarebbe voluto del tempo.
Il quarto sultano ottomano, Beyazıt soprannominato Yıldırım (la folgore), diresse i suoi sforzi contro gli altri principati turcomanni, e con una serie di fulminee campagne militari sottomise e assoggettò quasi tutta l’Anatolia. Fu un genio militare che si seppe imporre su tutti gli altri signori turchi, com’era da sempre aspirazione di ogni khan. Nelle sterminate lande dell’Asia si stava però affermando un altro grande condottiero, che il mondo conobbe come Tamerlano. Agli inizi del XV secolo lo scontro fra i due conquistatori sembrava ormai inevitabile.