La Macedonia non è Grecia, con buona pace del Fatto Quotidiano

Capita sovente di leggere articoli con imprecisioni in merito alle questioni legate all’area di cui ci occupiamo su questo giornale. A volte le imprecisioni si leggono anche su questo giornale, errare è umano. Tuttavia ci sono situazioni in cui si trascende l’errore e dalla colpa si passa al dolo. Ecco perché questa volta interveniamo* per rettificare alcune affermazioni dell’articolo apparso sul sito de Il Fatto quotidiano, a firma di Francesco De Palo, dal titolo “La Macedonia è Grecia, con buona pace dei revisionisti”, da cui il titolo all’articolo nostro.

La questione del nome e l’indipendenza

De Palo, nel primo paragrafo, scrive: “[… ] Molti media hanno utilizzato il termine Macedonia per indicare lo Stato confinante con la Grecia settentrionale, quando invece nel 1992, a seguito della divisione della Jugoslavia in cinque stati, un pezzettino di quella pangea (il cui nome esatto è Fyrom) ha adottato il nome di Macedonia, sostenendo che i suoi abitanti fossero discendenti dell’antica Macedonia”.

Anzitutto l’indipendenza della Macedonia dalla Jugoslavia risale all’otto settembre 1991 (e non, come scritto da De Palo, al 1992). Del 1991 anche l’indipendenza di Slovenia e Croazia, mentre quella della Bosnia Erzegovina è del 1992. All’atto dell’indipendenza la Macedonia assume il nome di Repubblica di Macedonia e si dovrà attendere il 1993 perché la sua indipendenza venga riconosciuta dalla comunità internazionale. Atene si oppose all’uso del nome “Repubblica di Macedonia” ritenendolo un’usurpazione della storia e cultura ellenica, contestando a Skopje di non avere alcun legame storico con l’antico regno di Macedonia, che fu di Alessandro Magno, e che il paese slavo non sia mai stato chiamato così fino al 1944.

Le responsabilità greche

La Grecia da dieci anni pone il veto all’ingresso della Macedonia nell’Unione Europea e alla NATO, nonostante le pronunce internazionali sull’illiceità di tale posizione, si veda la sentenza ICJ del 2011 sulla violazione da parte greca dell’art.11 degli accordi ad interim siglati nel 1995.

Proprio tali accordi prevedevano la modifica della bandiera macedone, su cui campeggiava il Sole di Vergina, antico simbolo ellenico, e l’adozione di un nome provvisorio da usarsi in ambito internazionale. Quel nome è Ex repubblica jugoslava di Macedonia il cui acronimo, in inglese, ha come esito “Fyrom” che quindi non è “il nome esatto”, come indicato da De Palo, ma un sigla necessaria fino alla risoluzione della disputa con la Grecia. Inoltre, numerosi stati riconoscono la Macedonia con il suo nome originale invece che con l’acronimo, tra questi Stati Uniti, Cina e Russia, tutti membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Quale Macedonia?

Greater_MacedoniaIl giornalista prosegue illustrando la posizione di alcuni storici ed archeologi internazionali unanimi nel riconoscere che il retaggio culturale macedone sia da ascriversi al mondo greco, cosa assolutamente corretta se parliamo dei macedoni antichi. Qui occorre però fare una precisazione. Esistono, ad oggi, due “Macedonie”, la prima è lo stato slavo di cui sopra, la seconda è la regione greca che ha come capoluogo Salonicco. Il fatto che entrambe abbiano lo stesso nome testimonia il comune destino di una regione denominata, appunto, “Macedonia storica” (immagine a sinistra). I destini della Macedonia storica sono stati tutt’altro che lineari e non consentono, come fa De Palo, valutazioni così nette.

Il revisionismo slavo-macedone

Il giornalista denuncia – giustamente – come in Macedonia sia in corso un’operazione di riscrittura culturale, di cui molto abbiamo parlato, finalizzata a creare un’identità etnica fittizia, alternativa a quella greca e a quella albanese, attraverso cui il partito nazionalista al governo (VMRO-DPMNE) cerca di mantenere il potere utilizzando la più antica arma della politica: divide et impera. Il nazionalismo slavo-macedone serve a contrapporre gli slavi agli albanesi, cospicuamente presenti in alcune regioni macedoni, manipolandoli attraverso retoriche etnocentriche. Oggi nel cuore di Skopje si erge un’assurda statua ad Alessandro Magno, di enormi proporzioni, minacciosamente rivolta verso la Grecia a testimoniare come la disputa sul nome in corso con Atene non faccia che rafforzare le politiche scioviniste del governo macedone. Una più lungimirante politica di Atene avrebbe potuto evitare tutto questo.

Il revisionismo storico in corso in Macedonia è un insieme disordinato di elementi in contraddizione tra loro e tenta, arditamente, un’impossibile sintesi di tutto ciò che, in ogni epoca, ha attraversato il territorio della moderna Repubblica di Macedonia. Questo è evidente nel progetto Skopje 2014, un ambizioso – quanto vano – piano di ricostruzione della capitale, Skopje, con architetture neo-elleniche e una foresta di statue, di varia dimensione, che rappresentano il passato macedone: un passato inesistente che serve alle retoriche politiche del presente.

La Macedonia, greca o slava? Un po’ di storia

La Macedonia è certo stata la patria di Alessandro Magno, ed erano quei macedoni parte del mondo ellenico. Ma tutta la Macedonia storica è stata slavizzata fin dal V secolo d.C., ad eccezione di Salonicco (l’antica Tessalonica) che pure era un centro di incontro tra le due culture. Non a caso Cirillo e Metodio, inventori del primo alfabeto slavo – il glagolitico – erano due monaci greci di Salonicco, perfettamente bilingue, e da quella città partirono per andare a evangelizzare gli slavi. I discendenti di Cirillo e Metodio trovarono poi rifugio a Ocrida sotto la protezione dei re di Bulgaria, ormai slavizzati (erano di antica origine turcica), nel frattempo divenuti signori della regione, e proprio a Ocrida venne inventata la scrittura cirillica che è oggi comune a molti popoli slavi.

Ancora in epoca ottomana la presenza slava nella regione era maggioritaria, specie nelle campagne. Dopo la rinascita di Grecia, Serbia e Bulgaria, le terre ottomane in Europa identificate e denominate come “Macedonia” vennero ad essere contese fra tre governi, portando alla creazione di gruppi armati rivali, tra cui il VMRO, organizzazione insurrezionale slavo-macedone fondata, indovinate un po’, a Salonicco nel 1893.

Ernst-Ravenstein-Balkans-Ethnic-Map-1880La presenza greca nella Macedonia storica era, all’epoca, piuttosto limitata. La mappa delle nazionalità dei Balcani (a sinistra) redatta all’indomani della Pace di Santo Stefano (1878) mostra come tutta la Macedonia fosse a maggioranza slava, ad eccezione della penisola calcidica e dell’area intorno a Salonicco. Una successiva mappa etnica del 1897 (a destra) conferma questo quadro. Balkan-nations

L’assetto territoriale greco all’indomani dell’indipendenza dall’impero ottomano non soddisfaceva le pretese elleniche e le guerre balcaniche, combattute proprio per il controllo della Macedonia, ne ampliarono i confini comprendendo la parte meridionale della Macedonia storica mentre quella settentrionale venne spartita tra Serbia e Bulgaria, anche in rispetto della composizione etnica della regione. Con la nascita del Regno di Jugoslavia, la provincia fu nota come Banovina del Vardar (1929-1941) e con l’occupazione nazista fu spartita tra Albania e Bulgaria, per poi tornare in epoca titina col nome di Repubblica socialista di Macedonia. Nel 1991, decaduto l’aggettivo “socialista”, il paese ha mantenuto la denominazione precedente, oggi oggetto delle suddette contese.

Conclusioni

Affermare, come fa De Palo, che la Macedonia è Grecia non vuol dire nulla. Quale Macedonia? La Macedonia storica nel suo insieme non lo è. Il retaggio greco è scomparso con la slavizzazione, almeno 1300 anni fa. La moderna Repubblica di Macedonia sta senza dubbio piegando la storia a proprio vantaggio, attraverso operazioni revisionistiche. Ma quella è l’opera di un governo nazionalista e vagamente dispotico, in un paese attraversato da una crisi politica senza precedenti. Un giornalista che scrive, su un blog di una testata nazionale, che “la Macedonia è Grecia” è partecipe di una retorica nazionalista uguale e opposta a quella del governo di Skopje. E fa eco ai tanti, terribili, nazionalismi degli ultimi anni, da “Il Kosovo è Serbia” a “la Crimea è Russia”.

Il revisionismo non si combatte con il tifo nazionalistico per una delle parti in causa. Si combatte comprendendone le cause. E le cause del revisionismo portato avanti dal governo macedone (che non ha nemmeno molta presa sui cittadini) sono dovute all’avvitamento autoritario di un paese emarginato da vent’anni dalla comunità internazionale a causa dei veti greci e delle puerili dispute su un retaggio storico che, piuttosto che dividere, potrebbe unire. Ma ai governi sciovinisti, e ai loro manutengoli, questo non interessa.

*articolo scritto con la collaborazione di Edoardo Corradi

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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