I tre cantoni a maggioranza curda in Siria diventano un’entità federale. Durante la conferenza di Rmeilan del 16 e 17 marzo, le autorità che controllano e amministrano i territori della Jazira (Qamishli), Kobane e Efrin hanno proclamato la nascita del “Sistema federale democratico del Rojava – Siria del Nord”. L’annuncio è stato immediatamente bollato come illegale dal regime di Damasco, seguito a ruota dalla Turchia che l’ha definita una mossa unilaterale senza validità. Anche gli Stati Uniti hanno fatto sapere che non riconosceranno alcuna zona semi-autonoma in Siria. Tutti immaginano che sia il preludio a una dichiarazione di indipendenza. Così la nascita di questa nuova entità rischia di compromettere i già fragili negoziati di pace, che dovrebbero riprendere a giorni dopo l’ennesimo stop. E, forse, è il primo passo verso la spartizione della Siria.
Autonomia o indipendenza?
L’annuncio di Rmeilan potrebbe sembrare una mera formalità: in fondo i cantoni sono de facto autonomi già dalla fine del 2012, quando le truppe di Assad hanno raggiunto un patto di non belligeranza con le milizie curde dell’YPG e si sono ritirate, salvo un paio di capisaldi tra Hasakah e Qamishli. Da allora sono controllati dal PYD, il partito curdo siriano legato al PKK che opera in Turchia dalla comune fedeltà a Abdullah Ocalan.
Invece la mossa è tutt’altro che secondaria, per tanti motivi. Prima di tutto perché non sono chiare le intenzioni dei vertici politici e militari curdi. Le loro dichiarazioni pubbliche vanno tutte nella stessa direzione, cioè l’autonomia all’interno della Siria ispirata all’ideologia del confederalismo democratico di Ocalan. Ma la creazione di un embrione di Kurdistan indipendente, obiettivo storico di larghissima parte dell’autonomismo curdo, adesso è più a portata di mano che mai. Da luglio l’YPG curdo controlla una fascia ininterrotta di territorio lunga 400 km al confine con la Turchia, oltre alla regione di Efrin più a ovest, e continua lentamente ad avanzare verso sud in direzione Raqqa.
Aspettando i negoziati di pace
Un altro motivo è la tempistica dell’annuncio. Per la Siria queste sono settimane delicate. È ancora in vigore un rarissimo cessate il fuoco e i negoziati di pace dovrebbero riprendere a breve. Mosca ha annunciato il ritiro di gran parte delle sue truppe, mettendo Assad con le spalle al muro (ora deve negoziare sul serio) e aprendo a una soluzione politica della guerra. Basta poco per compromettere questo fragile equilibrio e tornare al punto di partenza o quasi.
Proclamare la nuova federazione proprio adesso significa provare a mettere le parti in guerra di fronte a un fatto compiuto, da cui non si può tornare indietro. Anche perché i rappresentanti dei tre cantoni non andranno ai negoziati di Ginevra, quindi non avranno direttamente voce in capitolo. Ma significa anche mettere pressione a chi, come la stragrande maggioranza dei rappresentanti ribelli, non sembra disposta a rinunciare all’integrità territoriale della Siria né a concedere troppo spazio ai curdi.
Una sponda a Mosca. Inizia la spartizione della Siria?
E poi c’è la Russia. I curdi siriani sono in ottimi rapporti con Putin. Da poco hanno aperto un ufficio di rappresentanza a Mosca, una mossa importantissima dal punto di vista politico. E con il Cremlino c’è stato un coordinamento militare: mentre i russi provavano ad accerchiare Aleppo, da Efrin i curdi sono stati determinanti per tagliare la principale linea di rifornimento dei ribelli con la Turchia. Non è fantascienza immaginare che il do ut des preveda un riconoscimento formale dell’entità federale e, se la situazione lo permetterà, dell’indipendenza dei cantoni curdi.
Sul piano della diplomazia, la mossa dei curdi potrebbe aiutare Putin a far passare l’idea di una necessaria spartizione della Siria. Così la Russia otterrebbe uno staterello lungo la costa del Mediterraneo, dove ha le sue basi, e uno stato curdo amico a ridosso della Turchia, che è membro Nato.
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