La giornata di lunedì 14 marzo ha dimostrato che le frontiere recintate non sono invalicabili. Secondo quanto riportato dal Ministero dell’Interno macedone e numerosi giornalisti presenti, circa 2.000 rifugiati, molti di loro provenienti dall’Afghanistan, sono riusciti a trovare un varco nei pressi del fiume Suva Reka, non distante dal campo profughi di Idomeni, e penetrare in territorio macedone. Il numero non è ancora confermato: il Ministero degli Interni parla infatti di poche centinaia di persone mentre i giornalisti presenti sono sicuri che il numero sia molto più alto. I rifugiati, fermati dalle forze dell’ordine macedoni, verranno riportati in Grecia insieme a numerosi fotografi e giornalisti che, con loro, hanno provato a forzare le recinzioni alle frontiere.
Di questi, almeno 3 profughi sono morti annegati durante l’attraversamento del fiume mentre altri 23 hanno dovuto ricorrere alle cure mediche presso il centro d’accoglienza di Vinojug. La chiusura del confine da parte delle autorità macedoni, alla fine di un effetto domino iniziato in Slovenia, ha peggiorato notevolmente le condizioni dei profughi in Grecia, che si trovano costretti a lottare contro malattie, il freddo e le intemperie. In Grecia ci sarebbero attualmente più di 40.000 persone in attesa di poter varcare i confini settentrionali del paese ed entrano in territorio greco circa 3.000 profughi al giorno. Il campo di Idomeni, sorto come un campo di transito, avrebbe dovuto ospitare al massimo circa 2.000 persone ma ha raggiunto le impressionanti cifre record di 15-16.000 rifugiati, abbandonati in balia di loro stessi. Una situazione insostenibile, che alimenta la tensione nei campi profughi e la ricerca di nuove strade.
L’Albania si prepara ad essere il prossimo paese
Ad allarmarsi non sono solo le autorità macedoni ma anche quelle albanesi, che si attendono nel breve tempo un alto numero di ingressi nel paese. Saimir Tahiri, ministro dell’interno albanese, ha infatti sottolineato come è importante capire quando i rifugiati si ammasseranno al confine meridionale del paese piuttosto che comprendere se lo faranno realmente. Questa opportunità viene considerata da Tirana una certezza. Nel mentre, i colloqui con le autorità italiane e greche si fanno sempre più intensi per cercare di affrontare l’emergenza nel miglior modo possibile. Le autorità di Atene, infatti, stanno cercando di far spostare i rifugiati verso i confini con l’Albania e la Bulgaria, allestendo hot spot pronti ad ospitare migliaia di persone. Il confine albanese tuttavia non verrà chiuso, come anche più volte ripetuto dal primo ministro Rama e dal ministro degli esteri Dervishi, ma non verrà nemmeno consentito il passaggio indiscriminato dei profughi.
La chiusura della rotta balcanica è stato un processo lento che si è concluso ufficialmente nel mese di marzo di quest’anno. Dalla prima apertura, interrotta brevemente da temporanee chiusure dei confini, ha conosciuto un lento ma progressivo inasprimento dei requisiti per poter attraversare la penisola, fino ad arrivare alla definitiva chiusura. Ciò ha causato anche l’indignazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, che si è mostrato preoccupato per i futuri “respingimenti a tappeto” che saranno effettuati dalle autorità di Skopje.
La soluzione alla crisi dei profughi non è semplice
Senza una soluzione all’origine della crisi, ovvero in Siria e in Iraq, difficilmente la crisi dei profughi si mitigherà: prima della chiusura dei confini, infatti, erano entrate 90.922 persone. Nonostante una diminuzione del trend migratorio, l’UNHCR crede che i numeri complessivi del 2016 saranno più alti dello scorso anno, nel quale circa 800.000 persone hanno attraversato la penisola balcanica. Fin tanto che, tuttavia, rimarrà lo stato di guerra e instabilità in Medio Oriente, le autorità e i loro rappresentanti dovranno vedersela con la crisi. Chiudersi a riccio non è la soluzione.
Foto: Stoyan Nenov