Migranti, la rotta balcanica è chiusa. Nessun profugo entrerà più in Europa

La rotta balcanica è chiusa

La Slovenia ha introdotto nuove restrizioni ai confini. Si tratta di misure necessarie, secondo il governo di Lubiana, a “chiudere la rotta balcanica” che dalla Grecia porta i migranti verso l’Europa centrale. L’accesso al paese, e quindi allo spazio UE, sarà concesso solo a coloro che saranno ritenuti eleggibili per l’asilo politico o che hanno “evidente bisogno di tutela umanitaria”. Il premier sloveno, Miro Cerar, ha dichiarato che tali misure, attive dalla mezzanotte di martedì 8 marzo, fanno parte di un piano europeo finalizzato ad “abbattere la rotta balcanica” che “riguarda tutti i paesi balcanici, la Grecia e la Turchia, al fine di respingere tutti i migranti irregolari”. Non è chiaro come le autorità potranno distinguere tra richiedenti asilo e migranti economici senza procedere prima all’identificazione e, quindi, all’accoglienza nel paese.

Anche la Croazia, che non è parte dell’area Schengen, ha deciso di seguire la Slovenia nella decisione di chiudere le proprie frontiere dalla mezzanotte del 9 marzo. Il governo di Zagabria, che già a febbraio aveva imposto limiti all’accesso nel paese, consentirà l’ingresso solo ai migranti in possesso di un visto valido. La Serbia, che non è membro UE, ha prontamente reso noto che non sarà da meno e che ridurrà ulteriormente gli accessi, introducendo analoghe restrizioni dalla mezzanotte del 10 marzo.

Effetto domino

L’effetto domino sui Balcani è evidente. A seguito della decisione del febbraio scorso, da parte delle autorità austriache, di mettere un limite massimo di ingressi nel paese, i governi balcanici si sono trovati nella condizione di fare altrettanto. La Macedonia, per attenuare la pressione ai suoi confini, ha più volte invocato l’aiuto dell’UE anche perché la presenza dei profughi si deve alla Grecia che non ha mai applicato il regolamento di Dublino, venendo meno ai propri doveri di registrazione ed eventuale rimpatrio dei migranti. Atene si è sempre giustificata dicendo che, nel pieno di una grave crisi economica, non ha possibilità né risorse per occuparsi da sola delle centinaia di migliaia di migranti che arrivano sulle sue coste.

Il governo macedone, in novembre, aveva allora deciso di impedire l’accesso a tutti i rifugiati esclusi quelli provenienti dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan, per poi vietare l’ingresso anche a questi ultimi a seguito di una medesima decisione presa dalle autorità di Belgrado. Decisione che a sua volta è dipesa da quanto stabilito da Austria e Slovenia, che a loro volta sancirono il blocco dei rifugiati afgani. Oggi, a seguito delle nuove restrizioni slovene, anche la Macedonia ha deciso di sigillare i propri confini, pronta a difenderli anche manu militari come già avvenuto nei primi giorni di marzo.

Respingimenti a tappeto

Le nuove rigidissime norme consentiranno l’ingresso solo a migranti regolari, ovvero con visto appropriato, e a coloro che possono fare richiesta di asilo. Ma come stabilire chi ha diritto all’asilo senza prima farli entrare? E’ chiaro che queste misure non terranno conto delle differenze. La saracinesca è abbassata e più nessuno entrerà, diritto di asilo o meno. Per queste ragioni l’Alto commissario ONU per i rifugiati ha espresso la sua costernazione di fronte a quelli che definito “respingimenti a tappeto”, sottolineando come a giovarsi di questi blocchi saranno le reti criminali che porteranno comunque i migranti in Europa, e con un costo umano elevatissimo.

Il lavoro sporco lo faranno i turchi

La decisione slovena di imporre nuove restrizioni ai confini è da mettersi in relazione all’intesa raggiunta tra Turchia e UE al termine del lungo vertice avvenuto a Bruxelles lo scorso 7 marzo. I ventotto paesi dell’Unione, dopo una estenuante trattativa, hanno raggiunto un accordo con Ankara che, sostanzialmente, integra la Turchia nella strategia di controllo dei flussi migratori verso l’Europa. Ankara diventa, di fatto, un paese nel quale esternalizzare l’accoglienza dei profughi. L’esternalizzazione dell’accoglienza, ovvero l’assegnazione ai paesi extra-UE del controllo dei flussi migratori e dell’individuazione di coloro che hanno diritto all’asilo, è tema di cui si discute da tempo. In questo caso però l’esternalizzazione è avvenuta di fatto, senza alcun controllo sugli standard qualitativi del sistema dell’accoglienza turco. 

L’intesa con Ankara era necessaria per non veder saltare definitivamente il trattato di Schengen che, proprio in conseguenza della crisi dei migranti, è stato sospeso unilateralmente dai paesi della regione. Dobbiamo quindi ringraziare la – ben remunerata – disponibilità di Ankara a respingere i migranti, se non vedremo collassare la libertà di circolazione all’interno dell’UE.

I dettagli dell’intesa, che verrà ufficialmente siglata il prossimo 17-18 marzo, durante la prevista riunione del Consiglio Europeo, prevedono l’impegno da parte turca di “riprendersi” dalla Grecia circa cinquantamila richiedenti asilo siriani (solo siriani, però) destinati a essere poi accolti dai vari paesi dell’UE. Il governo di Ankara garantisce inoltre il respingimento di tutti i prossimi migranti irregolari che arriveranno nel paese, impedendo il loro ingresso in Grecia e, quindi, nella regione balcanica. Per portare a termine questo compito, la Turchia ha ottenuto che le navi della NATO – e non quelle della marina turca –  vengano usate per pattugliare le coste dell’Egeo ed evitare gli sbarchi dei migranti.

Ma la Turchia alimenta la guerra

In cambio del suo impegno, Ankara ottiene altri 3 miliardi di euro. Non solo, il governo turco porta a casa la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi e l’apertura di cinque nuovi capitoli negoziali per il processo di adesione all’UE.

La strategia europea tuttavia non tiene conto del fatto che la marcia dei migranti verso l’Europa è dovuta principalmente alla guerra che da cinque anni devasta la Siria. Solo la fine del conflitto potrà fermare il flusso migratorio. La Turchia è una delle parti in causa in quel conflitto e, in buona misura, lo alimenta attraverso il sostegno all’ISIS, da cui acquista illegalmente petrolio. Insomma, alla Turchia diamo denaro per fare il lavoro sporco, ovvero respingere a tappeto i migranti, e – in cambio – offriamo piena connivenza, silenzio assenso, alle sue manovre in Medio Oriente.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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