Un recente sondaggio commissionato dalla parlamentare europea estone Yana Toon mostra quanto in Estonia sempre più russi vogliono costruire il proprio futuro nel paese. Il 96% dei non-estoni considera necessaria la capacità di parlare la lingua estone, mentre di converso molti estoni considerano utile conoscere la lingua russa. I membri della minoranza russa in Estonia si considerano “russi estoni” o “russofoni” oltre che “cittadini estoni”, mettendo la cittadinanza davanti alla propria appartenenza etnica. Secondo Toon, il sondaggio manda un segnale chiaro: i russi d’Estonia vogliono costruire la propria vita nel paese, e non vedono nessun ruolo particolare della Russia in tale progetto.
Alla fine del 2015 la popolazione d’Estonia era così etnicamente suddivisa: 69,13% estoni, 25,14% russi, 1,71% ucraini, 0.93 bielorussi e 3.09% altre nazionalità. Nella prima metà del secolo scorso gli abitanti di origine estone erano quasi il 90% del totale, mentre la popolazione di origine russa era l’8%. L’attuale situazione è dovuta ad un processo di rapida urbanizzazione e industrializzazione partito nel 1940 per un anno e ripreso nel 1944, entrambi periodi di occupazione sovietica; l’obbiettivo di Stalin e dei suoi successori era quello di aumentare la presenza della popolazione russa nel paese nell’ottica più ampia di sovietizzazione dei territori occupati; inoltre durante la seconda guerra mondiale e negli anni ad essa immediatamente successivi 60.000 di estoni furono deportati in Siberia o uccisi dal regime comunista, mentre altri riuscirono a emigrare richiedendo asilo politico in stati che continuavano a riconoscere l’esistenza della Repubblica Democratica dell’Estonia, fondata nel 1918.
Nel 1991, anno di riconquista dell’indipendenza, la percentuale di cittadini estoni era scesa al 61% del totale. La sfida era dunque quella di attuare politiche di integrazione per tutti i cittadini già residenti nel paese che non avevano ottenuto la cittadinanza estone. Solo le persone nate prima del 16 giugno 1940 (anno di inizio della prima occupazione sovietica) e i loro discendenti ebbero di diritto l’accesso alla cittadinanza; ben il 32% dei residenti è rimasto senza cittadinanza, diventando così intestatario di un passaporto cosiddetto “grigio” o scegliendo di ottenere una cittadinanza diversa (spesso quella russa, ndr).
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Lo scorso giugno il rapporto sui diritti umani del dipartimento di stato USA aveva criticato la politica di integrazione messa in atto dai governi estoni definendola “inadeguata”. Mentre l’agenzia ONU per i rifugiati considera i possessori di questo passaporto ibrido come privi di cittadinanza, il governo estone si difende dicendo che ogni possessore di passaporto grigio è comunque in grado di ottenere la cittadinanza tramite il processo di naturalizzazione e può godere di parte dei diritti propri di un normale cittadino, come ad esempio il diritto di voto alle elezioni locali.
Dopo l’ingresso dell’Estonia nell’Unione Europea nel 2004 il numero di naturalizzazioni è quasi raddoppiato rispetto agli anni precedenti. La naturalizzazione si ottiene dopo otto anni di residenza nel paese di cui almeno cinque consecutivi, con un esame di lingua estone e conoscenza della costituzione. Al primo marzo 2016 solo il 6,1% della popolazione estone è ancora senza cittadinanza. Il parlamento si è impegnato nell’ultimo anno a semplificare ulteriormente la procedura tramite una serie di emendamenti tra i quali si prevede, tra gli altri, la naturalizzazione per tutti quei bambini nati nel paese con entrambi i genitori senza una cittadinanza. Dopo 24 anni il tema dell’integrazione interna è più che mai attuale ma allo stesso tempo delicato in un periodo in cui in altri stati europei scelgono sempre più politiche di respingimento e chiusura delle frontiere.